Giù la sbarra

Ancora chiuso. In questo tempo di pandemia globale anche i luoghi simbolo della memoria della Shoah hanno chiuso da qualche settimana le porte dei loro cancelli. Il Museo di Auschwitz non è più meta di visite, i giovani non organizzano più i viaggi con le scuole, anche i pellegrinaggi che si organizzavano ogni estate sono stati sospesi. C’è silenzio, più di quello che c’è solitamente, un silenzio pieno di domande, di paure, di incertezze. Il mondo è alle prese con un’altra battaglia, una lotta che però non si può paragonare a una guerra, il nemico è invisibile agli occhi, non ha intelligenza, non ha strategie particolari, non nutre odio, non discrimina, risponde solo a leggi della natura anche se fa male come un colpo di cannone o una frustata sul volto, e trascina con sé tanti lutti, tanto dolore. La domanda sul “perché” della sofferenza, del dolore innocente riemerge con tutta la sua attualità e la sua forza. A chi indirizziamo i nostri punti interrogativi dipende da noi, forse dalle aspettative che abbiamo, dalle esperienze precedenti, dalle “fedi” che muovono la nostra vita e il nostro cuore. Qualche risposta la scienza col tempo ce la darà, come successo in passato, e questo virus sarà sconfitto ma non sarà mai una risposta definitiva al “perché”. Dobbiamo cercarla da un’altra parte, forse non la troveremo mai, forse siamo nati per questo, pellegrini di una meta mai definitivamente raggiunta ma comunque sereni, felici di ogni passo in più, di quella sfida e fatica che siamo riusciti a superare, insieme.

La sbarra del cancello di Auschwitz è ancora chiusa ma la memoria deve rimanere viva. Ritorneremo in Polonia, con questa esperienza alle spalle e con il segno delle cicatrici sulla pelle. Torneremo diversi, consapevoli di cosa vogliano dire parole come dolore, libertà, solidarietà, offerta, sacrificio, voglia di ricominciare. Sarà diverso dalle altre volte, e sarà un’esperienza indimenticabile!

Lucia C.

(031) Birkenau

Cercare un senso

«La vita umana ha sempre, in tutte le circostanze, un significato, e quest’infinito senso dell’essere comprende anche le sofferenze, morte, miseria e malattie…» (Viktor Frankl).

All-focus

Voglio trovare un senso a questa sera
Anche se questa sera un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa vita
Anche se questa vita un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa storia
Anche se questa storia un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa voglia
Anche se questa voglia un senso non ce l’ha

Sai che cosa penso
Che se non ha un senso
Domani arriverà
Domani arriverà lo stesso
Senti che bel vento
Non basta mai il tempo
Domani è un altro giorno, arriverà

Voglio trovare un senso a questa situazione
Anche se questa situazione un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa condizione
Anche se questa condizione un senso non ce l’ha

Sai che cosa penso
Che se non ha un senso
Domani arriverà
Domani arriverà lo stesso
Senti che bel vento
Non basta mai il tempo
Domani è un altro giorno, arriverà
Domani è un altro giorno, ormai è qua

Voglio trovare un senso a tante cose
Anche se tante cose un senso non ce l’ha, ah

Domani arriverà
Domani arriverà lo stesso
Senti che bel vento
Non basta mai il tempo
Domani è un altro giorno, arriverà
Domani è un altro giorno, arriverà
Domani è un altro giorno…   (Vasco Rossi, Un senso)

Sui passi della memoria e della fede

Sui passi della memoria e della fede” è il tema che ha accompagnato il pellegrinaggio di tre parrocchie italiane in Polonia.

Un lungo viaggio in pullman con tante fermate, code e lavori in corso che li ha fatti giungere stanchi e un po’ sfiduciati ad Harmeze … è bastata però una bella cena nel nostro Centro per riprendersi subito. Il mattino seguente si sono messi in cammino verso i campi di concentramento di Auschwitz – Birkenau. Sentimenti di attesa, sconforto e dolore si vedevano nei volti di ciascuno e nei tanti “perché“ che ci venivano rivolti. Silenzio, ascolto, riflessione e preghiera: sono le parole che sempre ci aiutano a entrare in questi luoghi e che abbiamo suggerito loro all’inizio della visita. Al rientro hanno condiviso le loro esperienze molto profonde, nonostante in alcuni momenti, il cuore diventasse pesante e la commozione intensa.

Cosi ha scritto Paola: “Non ho trovato risposte, ma tanti perché. Quante vittime innocenti… Felice di aver visto, camminato e sentito con il cuore tantissime emozioni. Quella più grande: quando ho detto alla mia piccola Alice (9 anni) di dire una preghiera per tutti quei bambini che sono morti, e lei mi ha risposto: “Mamma, l’ho già fatto”.

Il piccolo Leonardo di 6 anni chiede alla mamma: “Mamma, le persone che erano qui come vivevano il Natale?”.

Ho pianto per la crudeltà dell’uomo, ma sotto nelle celle di punizione quel cero pasquale in memoria di san Massimiliano mi ha ricordato che non devo fermarmi al venerdì santo, ma dirigere lo sguardo verso la domenica di Pasqua. Grazie di questo cammino”.

Come si può avere fede in un luogo di dolore e morte? Come si puó pregare? Mi ha sconvolto vedere quella corona del Santo Rosario fatta da un prigioniero con la mollica del pane, significa che si era privato di quel pezzetto di pane giornaliero per realizzarlo. Che fosse più importante l’alimento della fede che quello del corpo? Non sarei stato capace di un gesto così!”.

Qualcuno ha detto che portava nel cuore e nella memoria gli occhi delle fotografie dei prigionieri, che ha ritrovato poi visitando la mostra di Marian Kołodziej.  Questi occhi di dolore, di sofferenza che interpellano, ti scrutano dentro… gli stessi li ha poi ritrovati nella sua profondità guardando gli occhi del Signore Risorto, nella immagine di Gesù Misericordioso al Santuario di Łagiewniki.

Maria del Carmen

ricordi vivi

A distanza di alcuni mesi Bepi e Carla – due partecipanti al pellegrinaggio in Polonia dell’agosto 2015 – ricordano emozionati la loro visita ad Auschwitz.

La visita al campo ad Auschwitz ha creato nel nostro cuore come un senso di soffocamento: abbiamo continuamente davanti ai nostri occhi quelle mostruosità… le celle e in particolare il blocco 11, le camere a gas, il buco sul soffitto, i forni crematori e il cammino per arrivarvi, fotoil muro delle fucilazioni, l’entrata al lager, le candele e i ceri accesi, le foto, gli sguardi, i loro occhi, una sofferenza indicibile che ci toglie letteralmente il fiato. Se pensiamo, poi, anche agli affetti di queste persone… prima divise dai propri cari, poi da loro strappate per sempre a causa delle atroci barbarie delle SS.
Questi ricordi non si cancelleranno mai in noi.
Durante questo percorso ci mancava il respiro, corpo e anima erano catturati e assaliti da profondo dolore, quasi a cedere spazio alle lacrime… molte domande attraversavano la nostra mente, e solo la preghiera riusciva ad attenuare la sensazione creatasi dinanzi a queste atrocità pagate da persone che ci permettiamo di definire sante.
Speriamo profondamente che il ricordo di questa terribile realtà sia di monito all’uomo affinché non ceda all’odio ma faccia predominare l’amore.

Bepi e Carla

l’amore fraterno e disinteressato che dà vita

Lucia rientrando dal suo viaggio in Polonia – dove ha incontrato nel centro di spiritualità polacco la missionaria Ercolina – ha raccolto questa intervista per noi.

Come hai conosciuto padre Kolbe? So che da giovane hai lavorato nella sede regionale della Milizia dell’Immacolata di Bologna, come ci sei arrivata?

Ho sentito parlare di Massimiliano Kolbe casualmente in TV, da un breve documentario sulla sua vita trasmesso in occasione della beatificazione, avvenuta il 17 ottobre 1971. Dal mio desiderio di appartenere ad un gruppo giovanile cattolico, sono entrata in contatto con la sede regionale della M.I. di Bologna. Ho avuto così la possibilità di conoscere più profondamente la storia, la vita, l’ideale di questo frate francescano polacco. Da subito mi ha colpito la sua capacità di donazione – essere dono gratuito senza alcuna condizione. Essere dono, è diventato in seguito un ideale di vita nella mia scelta vocazionale e sono entrata così a far parte dell’Istituto delle Missionarie dell’Immacolata padre Kolbe.

Sono rimasta colpita da una frase detta da Giorgio Bielecki, prigioniero ad Auschwitz nel parlare di Kolbe dice: “Quella fu una scossa che restituì l’ottimismo che ci rigenerò e ci diede forza; rimanemmo ammutoliti dal suo gesto, che divenne per noi una potentissima esplosione di luce capace di illuminare l’oscura notte del campo…”. So che tu hai conosciuto molti prigionieri, di qualcuno hai un ricordo particolare?

Sì, ho conosciuto vari ex prigionieri, mi sono avvicinata ad alcuni di questi testimoni che hanno vissuto all’interno del campo di concentramento di Auschwitz. In questo momento ricordo con ammirazione Zofia Pochorecka che già anziana ed ammalata viveva ad Oswiecim. Il suo sguardo era ricco di pace… quasi superiore alla grande sofferenza subita. Mi raccontava di quanto grande era l’umiliazione per le donne di trascorrere giorni e settimane senza le cose essenziali, come l’acqua per lavarsi. Zofia veniva da una famiglia ricca, dove non le mancava niente, la mancanza dell’acqua è stata molto dura, “sentirsi sempre sporca e con cattivo odore…” Ma il messaggio che ha toccato il mio cuore è stato quel suo sottolineare quanto sia importante la vera amicizia nei momenti difficili e di crisi. Zofia affermava che è riuscita a sopravvivere perché altre donne, anche loro prigioniere, le hanno dato amore, sostegno in quella terribile lotta interiore fra il bene e il male, la vita e la morte. L’amore comunitario, l’amore fraterno, l’amore disinteressato, gratuito è stato quel motore che ha vissuto anche san Massimiliano Kolbe facendolo esclamare, in varie circostanze “solo l’Amore è una forza creativa”, solo l’amore da vita.

Ora sei tornata nuovamente in questa terra così speciale, pensi che oggi valga ancora la pena visitare Auschwitz?

Credo proprio di si, vale la pena visitare Auschwitz. Soprattutto per riflettere, fare uno spazio di silenzio dentro noi stessi per vedere con altri occhi il mondo, i nostri pensieri, le nostre azioni, le scelte ed essere almeno più coscienti di quanto abbiamo bisogno di ricevere dagli altri e di quello che dobbiamo fare per gli altri.

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ricordare e passare la fiaccola alle generazioni future

Sulla scia dei ricordi Angela la missionaria risponde a questa mia domanda: Lei, donna consacrata, cosa ha provato camminando per quelle strade… su quelle pietre… tra quegli edifici…? 

raw-2Ho vissuto in Polonia solo tre anni. Non sono tanti, ma sono sufficienti per avere la possibilità di vivere un’esperienza intensa e profonda. Tutto è relativo nella vita. Sin da bambina ho sentito parlare dei campi di concentramento perché mio padre ne ha fatto esperienza come prigioniero politico. Col tempo ho coltivato un vero e proprio impegno per conoscere sempre di più i luoghi della morte.Quando la provvidenza mi ha condotto sulle strade di Auschwitz e di Birkenau, mi sono lasciata condurre come pellegrina per approfondire il tema della Shoah, per far silenzio davanti al dolore di milioni di vittime innocenti. Accoglierne il significato più profondo e, per questo, più nascosto. Ricordare e passare la fiaccola del ricordo alle nuove generazioni. Ho percorso quelle strade, passando ed entrando spesso davanti ai campi per la preghiera personale, per accompagnare pellegrini. Non mi sono mai “abituata” alla realtà dei campi. Sempre mi sono fermata per contemplare una distesa immensa di baracche semidistrutte, i forni crematori e davanti ai miei occhi non vedevo solo baracche e distruzione. Vedevo volti. Volti di persone che, come pecore erano state condotte al macello. Solo per follia pura. Smembramento di famiglie – uomini separati dalle donne – adulti dai bambini. Donne con i figli piccoli avviate subito alle camere a gas perché i nazisti si rendevano conto che una madre non può reggere al dolore del figlio e, quindi, anche se adatta al lavoro, non avrebbe potuto compierlo perché distrutta dentro.Lacerata dal dolore.  Camminando tra le macerie della vita mi sono sentita abitata dai prigionieri. Dalla realtà del campo. Il tempo si annulla e le distanze si accorciano. Ho ascoltato il grido di lamento, di richiesta di aiuto. Il loro patire, il loro soffrire. Il loro morire inermi. Nessuna risposta ai nostri logici “perché?” “la storia, ci ricorda il compianto card. Martini, è segnata dal male ed è fuori luogo domandarsi di fronte ad ogni iniquità: perché il regno di Dio non ha trionfato?”. Si può solo fare silenzio e pregare.

 

Shoah: perpetuo ricordo dello sterminio ebraico

Testimonianza di Angela, missionaria da poco rientrata in Italia, dopo aver vissuto tre anni in Polonia. Dalle sue parole si può rivivere l’impatto emotivo delle persone che visitano i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau.

PER NON DIMENTICARE

Prima di parlare dell’impatto emotivo della gente che visita i campi, è necessario fare una premessa raccontando cosa ha determinato la cruda realtà della Shoah, che porta la stessa gente a visitarli.
Non si possono dimenticare i numeri della Shoah: i sei milioni di ebrei vittime dell’odio nazista e più di 5 milioni assassinati nei lager come oppositori politici, membri della resistenza nei paesi europei, prigionieri russi, zingari, omosessuali e disabili.

Milioni di persone private di ogni bene. Segregate, umiliate e ghettizzate. Deportate, uccise e gasate. Unico obiettivo il genocidio e la distruzione di massa.

Io, pellegrina tra i pellegrini, vedo, ascolto, mi fermo con la memoria del cuore a quanto è accaduto a degli esseri umani. Foto, reperti, strumenti e luoghi di tortura cadono come macigni su di noi. Parlano di dolore e di sofferenza. “spettacolo” inaudito! Un’organizzazione di morte. Uomini, donne e bambini esposti a esperimenti medici. Tante ragazze, donne venivano sottoposte a esperimenti ginecologici e di sterilizzazioni. Nessun termine può rendere la realtà vissuta. Nessun immagine può esprimere l’atroce, infinita barbaria. L’umanità porterà sempre questo fardello del genocidio, della distruzione di massa come monito per non dimenticare.

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Passando davanti ai vari “reparti della morte” ad Auschwitz, come in tanti altri campi di concentramento e di annientamento della Germania dove sorsero i primi campi, della Polonia e in altre parti dell’Europa, la prima reazione – davanti alla follia umana in azione – è un’esclamazione di “no, non è possibile”. ” Come si può arrivare a questo?” Ho visto poche persone, indifferenti, forse perché increduli: l’orrore è talmente potente da non crederci. Penso che la maggior parte si lasci ferire nel profondo come se si trattasse dei propri cari. raw-1Il silenzio sembra abitare i visitatori che tante volte si trasformano in pellegrini. Si vorrebbe scagliarsi contro chi ha operato scelte di morte.   Pochi sono coloro che non si lasciano attraversare da una domanda: “perché tutto questo, c’è un senso in questo luogo di odio e di violenza?”.

Anche qui vale il detto: fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce.         Distruzione e morte, ma non si conosce bene la linea di frontiera tra vittime e carnefici…

 

Auschwitz: sofferenza ma speranza e tenerezza di Dio

da “Le svolte della vita”  di Roberto Parmeggiani – Ed. Immacolata

L’ultima tappa della vita di Massimiliano ha i colori accesi della sfida aperta tra il bene e il male. L’affermazione decisa del bene a ogni costo che ha caratterizzato la sua vita, trova nel campo di concentramento di Auschwitz il suo apice massimo. Paradossalmente quel luogo di odio e di tenebra diventa il nuovo campo di missione nel quale il cuore di san Massimiliano Kolbe si fa segno della presenza paterna e materna di Dio e dell’Immacolata per tutti. Auschwitz, il luogo in cui Kolbe ha vinto il male con il bene! 

tulipamAuschwitz un luogo che, per milioni di persone, ha significato sofferenza estrema, negazione di ogni dignità umana e perdita di ogni speranza. Un luogo che, per Massimiliano invece, è diventato lo spazio fisico e relazionale in cui testimoniare la speranza e la tenerezza di Dio. vita

Auschwitz si direbbe una missione impossibile e lo sarebbe stato per chiunque, anche per padre Kolbe, se quell’ultimo pezzo di strada non fosse stato il frutto di un’intera vita, la somma di tanti piccoli atti d’amore, l’esercizio costante del dono di sé. 

il messaggio all’uomo sofferente di oggi

Dal libro: La sofferenza in San Massimiliano Kolbe  di R.di Muro – ed.Libreria Vaticana

Il santo frate è talmente immerso nel progetto missionario affidatogli dal Signore ed è così convinto della costante intercessione dell’Immacolata, che non si scoraggia al cospetto di evidenti problemi fisici: sa che, malgrado questo ostacolo, la forza conferitagli da Dio è tale da permettergli di superare ogni genere di difficoltà.Padre Kolbe aiuta il credente di oggi a superare lo scoraggiamento ed a continuare a perseverare nel cammino di fede e nel proprio percorso missionario. Da Dio proviene ogni vocazione, nonché la forza di portarla fruttuosamente a compimento.E’ evidente che il dolore fisico comporta non pochi problemi e disturbi al francescano polacco. Tuttavia egli, pur dispiaciuto per le limitazioni imposte all’attività apostolica, rimette tutto nelle mani dell’Altissimo, affidando serenamente la salute all’Immacolata…

Padre Kolbe è prostrato fisicamente e non può dar corso alla missione che porta nel cuore.Tuttavia, il suo atteggiamento e quello di continuare a compiere la volontà divina, accogliendo ogni situazione di contrarietà, onde conferire a ciascuna vicenda un valore legato alla sua santificazione ed al compimento del progetto dell’Altissimo.Vogliamo anche sottolineare la perseveranza del martire polacco, il quale è fortemente limitato nel parlare, data la situazione patologica dei suoi polmoni. Pur tuttavia, non esita a mettersi a disposizione della Chiesa per l’evangelizzazione e l’insegnamento.Non si abbatte e cerca, comunque, di valorizzare al massimo i talenti donatigli da Dio…

E’ il miracolo dell’affidamento, che si ripete in ogni situazione di sofferenza del santo, il quale, in questo modo, riesce a portare in pace la sua croce personale. Anche in prossimità del suo arresto, infonde nei suoi confratelli la calma e la pace necessarie per affrontare il tempo della persecuzione nazista.