L’ultimo Amen

Una testimonianza che fa venire i brividi quella di Bruno Borgowiec, numero 1.192 ad Auschwitz, il prigioniero interprete che assistette alle ultime ore di vita di Kolbe e dei suoi compagni condannati a morire nel bunker della fame. “Pregavano e cantavano”, ma per chi come noi ha visitato il Campo ed è entrato nella cella non c’erano invece parole, solo un gesto: piegare le ginocchia e chinare il capo.

«Si può dire che la presenza di padre Massimiliano nel bunker fu necessaria per gli altri. Stavano impazzendo al pensiero che non sarebbero più tornati alle loro famiglie, alle loro case, e gridavano e imprecavano per la disperazione. Egli riuscì a pacificarli ed essi iniziarono a rassegnarsi. Con il suo dono di consolazione, prolungo le vite dei condannati, di solito cosi psicologicamente distrutti che morivano in pochi giorni. Per risollevare il loro spirito, li incoraggiava dicendo che il fuggitivo poteva ancora essere ritrovato e che sarebbero stati rilasciati.

Affinché potessero unirsi a lui, pregava ad alta voce. Le porte della cella erano di quercia, e grazie al silenzio e all’acustica, la voce di Kolbe in preghiera si estendeva anche alle altre celle dove i prigionieri potevano udirla bene. Anche questi ultimi si univano a lui. Da allora in poi, ogni giorno, dalla cella dove si trovavano queste povere anime e alla quale si univano le altre celle, si poteva udire la recita delle preghiere, il Rosario, gli inni. Padre Kolbe li guidava e gli altri rispondevano in coro. Poiché queste preghiere e inni risuonavano in ogni parte del bunker, io avevo l’impressione di essere in una chiesa».

Un segno inaspettato

Buona festa della Assunta. Nonostante le  prescrizioni imposte dalle leggi anti Covid qui in Polonia che non permettono di scendere nel corridoio della cella ieri, 14 agosto, c’è stato concesso il dono di andare per ben due volte. Dapprima, al mattino, solo in due, con la delegazione ufficiale dei vescovi e dei frati più tardi.

Nel  pomeriggio  poi siamo  tornate  anche con la comunità e con una volontaria. In  quel momento ci ha visto una guardia del Campo di Auschwitz, forse ci ha riconosciuto che eravamo le missionarie di Harmeze e senza  nessuna  richiesta  da  parte nostra ci ha condotto nel corridoio del bunker suscitando un po’ l’invidia di coloro ai quali non era stato permesso. La guardia si è fermata con noi il  tempo della nostra preghiera a san Massimiliano. Poi siamo risalite e andate  davanti al muro della fucilazione per continuare le nostra preghiera per tutte le vittime dell’odio di ogni tempo e per le intenzioni che c’erano state affidate anche attraverso i messaggi che ci giungono via mail. Alla fine la guardia ci ha accompagnate all’uscita. Lo abbiamo vissuto come un dono particolare, non previsto, forse neppure sperato, un segno del padre Kolbe che nel giorno della sua festa ci ha mandato un “angelo custode”.

Anna Matera, missionaria ad Harmeze

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Il 14 di ogni mese

Affida a san Massimiliano Kolbe le tue intenzioni:

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Le missionarie in Polonia, ad Harmęże, ricorderanno tutti i giorni la tua preghiera e il 14 di ogni mese, memoria del martirio di Kolbe (14 agosto 1941), la porteranno alla cella del blocco 11 nel campo di Auschwitz.

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Via Crucis

Ritrovo il giorno 3 novembre davanti all’entrata del Campo di Birkenau. Tante le persone che vogliono esserci, in silenzio, per pregare, per piangere, per tenere viva la memoria della Shoah, dei tanti campi di concentramento del XX secolo del continente europeo (e non solo).

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Anche le missionarie e i volontari del Centro Massimiliano Kolbe di Harmeze sono presenti e animano la tredicesima stazione. Con loro tutti noi, pellegrini ad Auschwitz, portando la quella Croce, corresponsabili di una storia che vorremmo non si ripetesse mai più.

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Un grande rispetto

La testimonianza dell’amica Inès – Brasile

Ricordo che quando ero piccola, sentivo parlare del campo di concentramento, dei prigionieri, dei tedeschi che avevano avuto questa assurda idea di costruire un luogo solo per lo sterminio di persone. Più grande ho cominciato a fare ricerche, ho letto libri, ho visto film, ho incontrato ex prigionieri…

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ma ora sono qui e incontro un mondo che non avrei mai immaginato di vedere e di trovare…

sento di voler camminare in silenzio con un grande rispetto e di pregare.

Ora so che esiste un grido per tutta l’umanità:

 

 

“Non permettiamo che l’uomo distrugga l’uomo”.

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Auschwitz e Birkenau: perché?

La testimonianza di Anna – missionaria – le sue domande, le sue emozioni, le sue preghiere, i suoi ricordi della guerra civile in Argentina.

Auschwitz e Birkenau, un binomio che da subito fa nascere una domanda: perché? Un binomio che non sarebbe dovuto mai esistere. Campi di concentramento, guerra… parole e fatti che risuonano da anni nella mia testa e nel mio cuore e immediatamente torno alla mia infanzia, in Argentina, al terrore della guerra vissuta dalla mia famiglia, le paure, i desaparecidos, i dialoghi sussurrati in famiglia, le nostre domande di bambini. Ero piccola (3/5 anni) ma in me è rimasto impresso il dolore, la tristezza, il terrore. Ricordo poi che quando qualcosa non mi piaceva dicevo “non la voglio, ha il gusto della guerra”. 

Non volevo viaggiare quest’anno, l’Europa era lontana, però era da tempo che chiedevo a Dio di poter visitare un giorno i campi di concentramento e, finalmente, lo scorso mese di giugno si è avverato questo desiderio.

No, non potevo crederci: mi resi conto che era molto poco, molto povero, minuscolo quello che sapevo; ad ogni passo, a ogni parola della guida, rimanevo meravigliata per il male di alcuni e la sofferenza di altri. Mi veniva voglia di piangere, gridare la mia impotenza, mettermi in ginocchio, baciare quella terra e pregare? Mentre camminavo ripetevo: “Dio mio, perché?”. Che cosa sarà passato nella mente di quelle persone: non avevano famiglia, madri, spose, figli? Come potevano distruggere degli uomini senza pietà? Erano persone intelligenti; sono rimasta infatti sorpresa dalla perfetta organizzazione dei campi, però tutto era stato usato per la distruzione. Mi sono rimasti impressi i pali dei castighi, i forni crematori, il muro della fucilazione, le celle della morte…

Un mattino presto ci siamo recate ad Auschwitz, siamo rimaste lì in preghiera nella cella dove padre Kolbe ha donato la sua vita. Non avevo voglia di andare via, sarei rimasta, ero serena, sorpresa, finalmente il sogno si realizzava; stringendo quelle sbarre sentivo Massimiliano molto vicino, lui che ha illuminato quelle tenebre con la luce del perdono e dell’amore. Ho sentito il bisogno di pregare per le vittime ma anche per gli aguzzini, sopraffatti e distrutti dall’odio. Mi sembrava quasi di udire i passi di padre Kolbe mentre andava a morire in quella cella, “tac tac”, con fiducia, con serenità, per offrire la sua vita e lasciandoci così questa grande testimonianza di amore.

Anna Gentile  

Con ago e filo… ovvero la speranza non muore

La prima parola che viene in mente guardando questa foto è gioia!  

Suor Rosemary Nyirumbe, delle Suore del Sacro Cuore, viene dall’Uganda, ed è molto conosciuta negli Stati Uniti. Ogni giorno accoglie e si mette a fianco delle ex bambine soldato nell’Uganda del Nord – ragazze schiave sessuali di miliziani senza scrupolo –  ha fondato diversi orfanotrofi e case d’accoglienza ridando dignità a coloro che l’aveva perduta e si sentivano per questo scartate dalla società e dalle stesse famiglie di origine. La speranza non deve mai morire… La sua toccante testimonianza viene raccontata nel libro: Cucire la speranza. La donna che ridà dignità alle bambine soldato. Per queste sue opere caritatevoli ha ricevuto da poco in Polonia il premio Veritatis Splendor. In settembre è stata invitata alla “festa del grazie” organizzata dall’AIPK Onlus a Borgonuovo (BO). In questa occasione ci ha raccontato la sua esperienza nel campo di Auschwitz.

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Ero in Polonia per ritirare il Premio Giovanni Paolo II, istituito dalla diocesi di Cracovia.Lì mi hanno proposto di vedere Auschwitz. È stato un grande viaggio spirituale per me,vissuto molto intensamente e che non immaginavo.In quel momento, pur conoscendo san Massimiliano Kolbe, non avevo collegato il campo con la sua cella. Quando però sono andata e mi sono trovata accanto alla cella in cui ha donato la sua vita, allora ho capito il dono che stavo ricevendo. Allora mi sono fermata e ho cominciato a pregare. La preghiera che tornava alla mia mente era quella di continuare a recitare questa invocazione: “Signore abbi pietà di noi”.

dsc_7136Ho pensato, guardando quei muri e quella cella, che tutto questo è accaduto quando Gesù è già morto per noi. Allora se è successo una volta, può ripetersi. Anche se è un fatto storico avvenuto 70 anni fa, l’ho sentito molto vivo e presente e l’ho abbinato nella mia mente a quanto sta accadendo in diverse parti dell’Uganda, da dove provengo. Gli esseri umani possono distruggersi l’un l’altro. Non ho foto mie nel campo. Appena entrata infatti ho scattato una foto che riportava i numeri incredibili delle vittime. E dopo non ho avuto più il cuore per fotografare e ho continuato il cammino pregando. Dal giorno in cui sono stata nella cella di san Massimiliano, ho cominciato a invocarlo:20161110_210124

San Massimiliano Kolbe, prega per me,

prega per noi, fa’ che siamo perdonati.

Attraversare la porta della misericordia – 1°parte

La missionaria Lucia ha conosciuto al Cenacolo di Borgonuovo, P.Luca Garbinetto della Pia Società San Gaetano. Il Padre era reduce da un viaggio a Cracovia, dove è stato ospite di alcuni amici religiosi Guanelliani. Dopo aver visitato insieme a padre Jarek e ad Antonella i luoghi dell’Olocausto, ha affidato al nostro blog la sua testimonianza.

Il secondo giorno, al mattino, la tanto attesa visita al campo di Auschwitz – Birkenau. Per me era il santuario principale da visitare. Fin da piccolo ho letto e ascoltato tanto del dramma dell’Olocausto; ho visto film che mi hanno commosso e, porto nel cuore, questa terribile pagina della storia assieme a tanti suoi testimoni che mi hanno aperto un modo nuovo di pensare e guardare Dio: Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Etty Hillesum, Dietrich Bonhoeffer… e i racconti di uomini e donne meno conosciuti, ma non meno santificati da tanta sofferenza. Sono andato ad Auschwitz senza aspettarmi nuove notizie o particolari novità: era come se conoscessi già tutto… ma ancora non avevo calpestato quella terra santa e miei occhi non avevano contemplato i segni del martirio, dell’incarnazione culminata nella croce. E così ho camminato due ore in silenzio. Tanto silenzio, ad Auschwitz. Le parole di padre Jarek erano rispettose, ed esprimevano la sua personale ricerca, dura e profonda insieme: ‘avevo promesso di non tornarci più, invece sono già almeno 20 volte che vengo!’. Siamo arrivati alle 10, un po’ tardi, c’era parecchia gente tra le baracche: ma non mi distraevano molto. I miei occhi, i miei orecchi erano tutti per quel silenzio, per le tracce degli innocenti sfregiati nella loro dignità. Morti, passati per un camino. La prima reliquia dopo le ceneri, raccolti nell’urna, sono stati i capelli delle donne, tagliati e ammucchiati per farne tessuto da vendere. I capelli sono parte vivace della bellezza delle donne. Tagliati e venduti. Poi i volti, nelle foto, di tanti uomini e donne, che provavano a rivendicare la propria dignità davanti a macchine fotografiche che li riducevano a criminali e a numeri. Le date parlavano di pochi mesi o addirittura settimane nel campo; forse era meglio così, starci da vivi era una tortura. 

14.08.15 Auschwitz (95)C’erano 5 gradi sotto zero quel giorno… e io vestito di tutto punto avevo freddo: pensavo a loro, nell’inconsistente divisa a strisce, oppure nudi e ammucchiati nel fieno, nelle brande. Il block 10, quello degli esperimenti; il cortile per le fucilazioni e l’impressionante anello a cui si agganciavano sospesi da terra i prigionieri, perché morissero soffocati. E poi il block 11, e giù giù in fondo le celle di isolamento, il buio, l’ultima tappa… e lì un cero acceso. E’ la cella 18, quella di padre Massimiliano Kolbe. Era proprio lì, che pregava e cantava, stremato, cercando di dare vita ai compagni ormai già morti, oltre che di dare la sua vita per il padre di famiglia al posto del quale si è offerto per amore. All’angolo più oscuro di questa macchina perfetta di sterminio, brilla la luce del cero pasquale… L’ha donato papa Wojtyla.

…. continua

la vita…nella cenere di ogni figlio di Dio

Continuiamo ad approfondire la conoscenza delle nostre amiche missionarie, attraverso la loro vita e e le loro esperienze in terra polacca.

Lei come vive la sua esperienza qui in Polonia rispetto alla sua terra di origine?

Quando ho scelto la vita missionaria sentivo un grande desiderio di condividere la
mia vita non soltanto con il mio popolo, anzi sentivo nel cuore il desiderio di incontrare altri popoli, conoscere altre culture, altre lingue, per arricchire la mia quotidianità, per avere gli orizzonti larghi del cuore e della mente. Per questo motivo quando ho ricevuto la proposta di venire in Polonia, ho sentito stupore, trepidazione ma anche timore, incertezza, però nella fede ho detto il mio
SI ancorato nel Signore che sempre esaudisce questo desiderio del cuore. L’esperienza è uguale è diversa. Uguale perché sono qui per vivere l’offerta della mia vita al Signore e incontrare le persone, aiutarci in un cammino di fede e di amore come nella mia terra. Diversa perché l’espressione della missione è differente.DSCN1313 Siamo qui per animare un centro di spiritualità e accogliere le numerose persone che vengono da varie parti del mondo per visitare i luoghi della memoria. Qui si impara a scegliere momento per momento la vita o la morte, il bene o il male, l’amore o la violenza. Questi luoghi dove nasce il nostro centro, sono luoghi dove questa lotta è stata vissuta da tanti uomini e donne prigionieri che venivano a lavorare qui e, molti di loro hanno avuto un trascorso che è stato animato solo con la forza dell’amore. Questa è la eredità umana e spirituale di San Massimiliano Kolbe, il martire dell’amore di Auschwitz, e questa è la sfida che sono chiamata a vivere ogni giorno.

Si reca spesso nel campo di Auschwitz ed in quali occasioni?

DSCN0948Vado spesso al campo di Auschwitz e Birkenau a pregare, a camminare e pregare, a vivere il silenzio di quei luoghi che mi parla di vita, di speranze, di attese, di futuro…, nonostante sembra che la morte abbia portato via tutto. Nei momenti più difficili o faticosi essere la è una grande forza, un grande aiuto. Ci vado anche insieme alla mia comunità il 14 di ogni mese per pregare nella cella di San Massimiliano e chiedere la sua luminosa intercessione per tutte le persone che ci affidano le loro intenzioni. Ci vado quando ci sono celebrazioni particolari, date che ricordano avvenimenti significativi. Sempre con gli stessi sentimenti: di preghiera, di silenzio, di ascolto, di riparazione, di misericordia, di speranza.

continua….