Vigilia di Natale: pane spezzato e desiderio di pace

Dalla Polonia la missionaria Lucia Z. ci invia il suo saluto.

Sono contenta di vivere questa vigilia di Natale in questa terra di grandi santi, sì, è una vigilia particolare, intensa, è una vigilia polacca. Mentre cammino in questo campo di Auschwitz, mi chiedo come avranno vissuto gli “abitanti di questa città”. Avranno avuto qualche momento diverso? Qualcosa in più da mangiare, o forse un pó di riposo in più? Tra i tanti quadri del prigioniero Marian Kolodziej, ce n’è uno che ricorda proprio la vigilia. Per i polacchi la vigilia di Natale è sacra, il richiamo è forte e non si può dimenticare… IMG-20151223-WA0007_resizedMarian fà memoria di quella prima vigilia ad Auschwitz e disegna – con mano ferma e tratto deciso – come lui e i suoi amici spezzavano a vicenda quel pezzetto di pane duro… pensando, tra le lacrime, alla casa, alla libertà, alla pace. Sì, la pace, quella pace che Gesù ci ha portato con amore e tanta tenerezza e che vuole regalare al mondo e a ciascuno di noi.      (il disegno è parte della mostra     “I Labirinti di Marian Kolodziej” ospitata presso il complesso francescano in Polonia)

In Polonia oggi una magica atmosfera avvolge ogni cosa. Quando nel cielo apparirà la prima stella ogni famiglia si riunirà a tavola ma sempre resterà un posto per l’ “inatteso” ospite.  Nel silenzio della notte un canto aprirà alla preghiera e nel segno di un’ostia, di un pane spezzato e condiviso, come tradizione, ci scambieremo lacrime e auguri, sorrisi e richieste di perdono. É la notte di Natale, il nostro Dio ancora non è stanco di noi, ancora una volta desidera nascere, Maria ce lo dona.

Carissimo/a, questo messaggio di pace e di fraternità giunga dalla terra di Polonia fino a te col suo calore, con la sua bellezza, e attraverso te possa raggiungere ogni uomo e ogni donna, ogni giovane, ogni bambino, ogni persona sola o ammalata. Auguri.

                                                 Buon Natale!

                                          Lucia, Paola, Ercolina

 

Auschwitz (canzone del bambino nel vento)

Son morto con altri cento, son morto che ero bambino,
passato per il camino e adesso sono nel vento e adesso sono nel vento….                            

Ad Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento
nel freddo giorno d’ inverno e adesso sono nel vento, adesso sono nel vento…  

Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio:
è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento…  Io chiedo come può un uomo uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento, in polvere qui nel vento… 

 Ancora tuona il cannone, ancora non è contento  di sangue la belva umana e ancora ci porta il vento e ancora ci porta il vento…  

 Io chiedo quando sarà che l’ uomo potrà imparare  a vivere senza ammazzare e il vento  si poserà e il vento si poserà…         Io chiedo quando sarà che l’ uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare  e il vento si poserà e il vento si poserà e il vento si poserà… 

Francesco Guccini 1964

guarda il video su you tube  http://www.youtube.coom/watch?v=-o7XdF-fhfM

 

Auschwitz: sofferenza ma speranza e tenerezza di Dio

da “Le svolte della vita”  di Roberto Parmeggiani – Ed. Immacolata

L’ultima tappa della vita di Massimiliano ha i colori accesi della sfida aperta tra il bene e il male. L’affermazione decisa del bene a ogni costo che ha caratterizzato la sua vita, trova nel campo di concentramento di Auschwitz il suo apice massimo. Paradossalmente quel luogo di odio e di tenebra diventa il nuovo campo di missione nel quale il cuore di san Massimiliano Kolbe si fa segno della presenza paterna e materna di Dio e dell’Immacolata per tutti. Auschwitz, il luogo in cui Kolbe ha vinto il male con il bene! 

tulipamAuschwitz un luogo che, per milioni di persone, ha significato sofferenza estrema, negazione di ogni dignità umana e perdita di ogni speranza. Un luogo che, per Massimiliano invece, è diventato lo spazio fisico e relazionale in cui testimoniare la speranza e la tenerezza di Dio. vita

Auschwitz si direbbe una missione impossibile e lo sarebbe stato per chiunque, anche per padre Kolbe, se quell’ultimo pezzo di strada non fosse stato il frutto di un’intera vita, la somma di tanti piccoli atti d’amore, l’esercizio costante del dono di sé. 

Le farfalle di Auschwitz

da un libro di poesie di Teresa Lazzaro 

Il nazismo ha inverato ciò che Dostoevskij fa dire a Ivan Fedoric ne I Fratelli Karamazov che se Dio non esiste, tutto è permesso. Senza Dio tutto è possibile, anche lo stravolgimento dei valori elementarmente umani”, allarga le braccia Teresa.  Venti poesie al posto di venti lapidi. Per farli emergere dal gorgo dell’oblio. Per farli uscire dalle sbarre della memoria ingabbiata. Versi dedicati a coloro che verranno.

 

Ogni farfalla ha un nome.

le ho dato il nome che Iddio ha scelto

le ho dato il nome il cui eco risuona in Cielo.

Ogni  farfalla ha un nome.

Il nome è inciso nella Paura.

Il nome fu stretto crudelmente in un cappio.

Ho trovato venti farfalle nel mio roseto…

Nei  nomi  ho raccolto  il vuoto che hanno lasciato.

Li dono al mondo intingendo  un pennino centenario

nell’inchiostro colorato perché gli anni spezzati

con le valigie arrivate ad  Auschwitz

possano realizzare sogni di Pace.

Le mie farfalle hanno un nome pregno  d’amore.

farfalle

 

 

Eterno Amore

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“Chi sei, dolce Luce che m’inondi e rischiari la notte del mio cuore?
Tu mi guidi qual mano di una mamma;
ma se mi lasci non più d’un passo solo avanzerei.
Tu sei spazio che l’esser mio circonda
e in cui si cela.
Se m’abbandoni cado nell’abisso
del nulla,donde all’esser mi chiamasti.
Tu a me vicino più di me stessa,
più intimo dell’intimo mio.
Eppur nessun ti tocca o ti comprende
e d’ogni nome infrangi le catene:
Spirito Santo – Eterno Amore!”

Edith Stein

 

Poesia del 24 maggio 1942 di Edith Stein, ebrea, filosofa; poi cristiana, insegnante di filosofia e pedagogia; in seguito monaca col nome di Teresa Benedetta della Croce; infine martire ad Auschwitz nell’agosto 1942

la vita…nella cenere di ogni figlio di Dio 2

Cosa le trasmette e/o le ha trasmesso il tornare ed il sostare nel campo di Auschwitz in preghiera o come accompagnatrice dei pellegrinaggi?

Mi trasmette il non fermarmi soltanto agli avvenimenti storici accaduti in questi luoghi, bensì fare memoria della vita di tante persone che li hanno vissuto, lottato, creduto, sperato, che sono morte indegnamente. Fare memoria del mistero dell’amore più grande consumato da GDSCN0954esù sulla croce e attualizzato in questi luoghi dell’olocausto. Un sentimento di gratitudine al buon Dio mi pervade mentre sono in cammino dentro i campi, perché la sua risurrezione fa splendere questi luoghi di una grande luce, di una novità di vita e di speranza, perché l’amore è più forte della morte, dell’odio, della violenza… E vedendo persone da tanti luoghi del mondo, da tante nazioni che nel silenzio camminano su quei viali non posso non pregare e chiedere al Signore il dono della pace per tutti i popoli della terra, perché si avveri al più presto il suo “sogno” di fraternità, di unità. Da questo assurdo di Auschwitz può rinascere un mondo nuovo…

Secondo lei non si corre il rischio che il tornare più volte e spesso al campo possa divenire un’abitudine, oppure c’è dell’altro?

Non ci si può fare mai l’abitudine visitando questi luoghi. Non ci si può mai sentire come prima dopo essere stati lì. Non si può dire non ritornerò mai in quel luogo. Ci ritorno spesso perché mi aiutano il silenzio, la preghiera a rinnovare il percorso di un cammino interiore segnato dalla lotta tra il bene e il male,tra la forza dell’amore e i miei egoismi, tra la libertà e le mie prigionie…
Si, ci ritorno sempre con la consapevolezza che li c’è Dio, nella cenere calpestata nella terra, nella cenere di ogni figlio di Dio che giace là…  DSCN1123

In mezzo al bosco c’è un albero completamente bruciato nel suo tronco, però ogni anno rinasce con rami e foglie nuove e piene di vita, le sue radici sono DSCN1125profonde… 
E lì a dirmi, che anche se il corpo può essere distrutto, la vita continua sempre, perché quando si è ancorati e radicati in Dio, la vita continua a fiorire…

San Massimiliano mi ha insegnato questo: è morto ad Auschwitz, il suo corpo cremato, le sue ceneri sparse al vento, però la sua testimonianza, il suo ideale, il fuoco dell’amore che ardeva nel suo cuore sono vivi più che mai… Si, l’amore di Dio, la tenerezza di Maria e la fraternità verso tutti rendono sempre bella e buona la nostra vita!

M.C. missionaria in Polonia

la vita…nella cenere di ogni figlio di Dio

Continuiamo ad approfondire la conoscenza delle nostre amiche missionarie, attraverso la loro vita e e le loro esperienze in terra polacca.

Lei come vive la sua esperienza qui in Polonia rispetto alla sua terra di origine?

Quando ho scelto la vita missionaria sentivo un grande desiderio di condividere la
mia vita non soltanto con il mio popolo, anzi sentivo nel cuore il desiderio di incontrare altri popoli, conoscere altre culture, altre lingue, per arricchire la mia quotidianità, per avere gli orizzonti larghi del cuore e della mente. Per questo motivo quando ho ricevuto la proposta di venire in Polonia, ho sentito stupore, trepidazione ma anche timore, incertezza, però nella fede ho detto il mio
SI ancorato nel Signore che sempre esaudisce questo desiderio del cuore. L’esperienza è uguale è diversa. Uguale perché sono qui per vivere l’offerta della mia vita al Signore e incontrare le persone, aiutarci in un cammino di fede e di amore come nella mia terra. Diversa perché l’espressione della missione è differente.DSCN1313 Siamo qui per animare un centro di spiritualità e accogliere le numerose persone che vengono da varie parti del mondo per visitare i luoghi della memoria. Qui si impara a scegliere momento per momento la vita o la morte, il bene o il male, l’amore o la violenza. Questi luoghi dove nasce il nostro centro, sono luoghi dove questa lotta è stata vissuta da tanti uomini e donne prigionieri che venivano a lavorare qui e, molti di loro hanno avuto un trascorso che è stato animato solo con la forza dell’amore. Questa è la eredità umana e spirituale di San Massimiliano Kolbe, il martire dell’amore di Auschwitz, e questa è la sfida che sono chiamata a vivere ogni giorno.

Si reca spesso nel campo di Auschwitz ed in quali occasioni?

DSCN0948Vado spesso al campo di Auschwitz e Birkenau a pregare, a camminare e pregare, a vivere il silenzio di quei luoghi che mi parla di vita, di speranze, di attese, di futuro…, nonostante sembra che la morte abbia portato via tutto. Nei momenti più difficili o faticosi essere la è una grande forza, un grande aiuto. Ci vado anche insieme alla mia comunità il 14 di ogni mese per pregare nella cella di San Massimiliano e chiedere la sua luminosa intercessione per tutte le persone che ci affidano le loro intenzioni. Ci vado quando ci sono celebrazioni particolari, date che ricordano avvenimenti significativi. Sempre con gli stessi sentimenti: di preghiera, di silenzio, di ascolto, di riparazione, di misericordia, di speranza.

continua….

Auschwitz – le mie impressioni

per non dimenticare… 

trenoUna volta salito sul treno che mi avrebbe portato da Cracovia al Museo Nazionale di Oswiecim, già cominciai a respirare un’aria diversa, forse perché sapevo che visitare Auschwitz sarebbe stata per me un’esperienza che mi avrebbe segnato, che mi sarebbe rimasta dentro per sempre. E così è stato, ancora adesso riesco a vedere nella mia mente quei luoghi: l’ingresso del campo, i crematori, il Muro della Morte, i vari blocchi degli edifici, le stanze dove dormivano i detenuti… Sessant’anni fa la gente moriva in quel posto, io adesso ci sarei andato con la macchina fotografica… Non che fosse sbagliato, so benissimo che non si deve dimenticare ed anzi una foto aiuta a ricordare anche dopo tanti anni, però suscitava dentro di me un leggero malessere, giusto o non giusto che potesse essere.

Il treno avanzava lentamente, la scomodità dei sedili accentuava le scosse che esso provocava. Accanto a me un gruppetto di giovani ebrei, giunti probabilmente da Israele (almeno così si intuiva dai discorsi), smorzavano l’atmosfera con dei sorrisi forzati ed erano impazienti di arrivare a destinazione. Io provavo a mettermi nei loro panni ed a immaginare cosa essi potessero provare nell’andare a visitare quel posto dove tanti ebrei come loro furono trucidati dai nazisti: non credo di esserci riuscito, forse perché neppure io sapevo cosa provavo da italiano.

Comunque il viaggio giunse al capolinea e scesi alla stazione: il posto già lì era abbastanza triste; affacciatomi poi nel paese, la sensazione fu quella di un posto ormai segnato per sempre dalle atrocità che vi furono commesse (sebbene gli abitanti di Oswiecim non ebbero alcuna colpa dei crimini, anzi, cercarono di aiutare i detenuti per quello che potevano).

entrata aIl Museo era a pochissimi chilometri dalla stazione quindi in breve fui di fronte all’entrata. Sinceramente mi dava un pò fastidio già il fatto che la gente riuscisse a mangiare qualcosa lì, al bar-ristorante. Io credo che non ce l’avrei mai fatta ed infatti così fu, specialmente dopo aver visitato tutto l’ex campo di concentramento. E’ quasi impossibile descrivere le sensazioni che ti attraversano mentre sei nel Museo: sebbene fosse agosto, c’era un’atmosfera autunnale, gli edifici cupi e gli alberi altissimi non facevano che accentuare questa mia impressione. Tra le cose che mi colpirono di più ci fu un signore ebreo che davanti alla foto di Hitler (nella sala che narrava la seconda guerra mondiale attraverso immagini e didascalie) prese a inveire contro di lui e cominciò a piangere battendo i pugni contro la faccia del fuhrer. Fu una scena che mi colpì in modo particolare e che è ancora nitida nella mia mente.

Un’altra cosa era che, nonostante avessi con me la mia macchina fotografica, in alcune sale non avevo nemmeno il coraggio di fare delle foto, anche se ciò era consentito,poiché mi sembrava quasi di profanare quei posti… Come si poteva fotografare bloccol’interno dei forni crematori o delle camere a gas dove centinaia di migliaia di persone vi erano state condotte per andare a morire? Io proprio non ce la facevo. E le sale dove erano conservate le migliaia di valigie, scarpe, spazzole, tute carcerarie degli internati? No davvero.

Il mio consiglio è di andare a visitare questo Museo, è un’esperienza che porterete per sempre dentro di voi e che sicuramente ci preserverà dal dover fare ancora i conti con queste atrocità.

Testimonianza di Michele, tratta dal sito www.battifolle.it