Non basta più

“Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo… Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” (Primo Levi).

Non basta più celebrare la Giornata della Memoria, un giorno all’anno, 24 misere ore: fiori, candele, autorità sulla passerella del passato, e poi?

Non basta più studiare la storia, chiedersi dove, quando, chi, come, e forse il perché… Non basta aver trovato e giudicato, condannato i colpevoli di “quella volta”, già troppo lontana.

Non bastano più le tante pagine scritte sulla Shoah, sulla pelle di tanti testimoni, il suono silenzioso delle loro lacrime, le rughe sul volto come diari indelebili dell’impossibile e del terribile vissuto.

Basta poco per infrangere il “sacro” legato al racconto dell’esperienza di uomini e donne, e ancor più dei piccoli, di coloro ai quali la guerra non aveva ancora ammazzato i sogni, come Anna Frank, i suoi amici.

Basta poco per calpestare di nuovo quell’umanità indifesa e bambina, presa in giro, gioco macabro di immagine e paragone, ma il sorriso non c’è. Rimane un gusto amaro in bocca, un sapore che non vorresti mai sentire.

Noi, pellegrini, torneremo ad Auschwitz, perché non basta più esserci stati una volta, due volte,… perché vogliamo ancora ricordare, raccontare; non basta mai, anche se… “comprendere è impossibile”.

lucia c.

 

anna frank

 

Occhi

Graziella da molto tempo desiderava visitare la Polonia; il 3 di ottobre ha finalmente realizzato il suo sogno e, ci ha reso partecipi delle sue emozioni con questa toccante testimonianza.

 

In questa terra autunnale piena di bellissimi colori e di luce, il primo giorno del pellegrinaggio inizia con la visita al campo di sterminio di Auschwitz.

I primi passi verso l’entrata del campo, ci riportano con la mente ai passi di quanti erano inconsciamente transitati sotto la famosa scritta “ARBEIT MACHT FREI” il lavoro rende liberi. Stavamo percorrendo la medesima strada, in quel silenzio che tutto raccontava…
La guida con sentimento e decisione ci spiegava quello che era successo nel campo e che ormai tutto il mondo conosceva. Le strade alberate con il sole parlavano di luce e di vita, invece lì era passata la morte, una morte devastante. Sembrava inconcepibile quello che raccontava la guida: come l’uomo si creda padrone del mondo, della vita, di poter gestire la vita degli altri esseri umani, l’onnipotenza umana. Entrando nella palazzina n.11 si trovano alcuni ricordi degli ebrei sterminati, loro entravano ma non sapevano che non ne sarebbero piu’ usciti. Ci ha colpito particolarmente una parete con le foto di quelli che erano rinchiusi lì: schedati, i loro visi tutti diversi ma tra loro in comune oltre alla magrezza, c’erano gli occhi. Occhi che parlavano dell’orrore che stavano vivendo. In fondo all’orbita l’orrore, lo stupore, l’incredulità, la richiesta di aiuto… non avevano piu’ nulla a che fare con la dignità dell’essere umano.
Occhi che avevamo visto la mattina nella mostra di Marian, un sopravvissuto. Dopo tanti anni, ormai anziano, Marian aveva trovato il coraggio di disegnare, scrivere l’orrore vissuto.
I suoi disegni evidenziano subito gli occhi dei prigionieri, di lui giovane e delle scene del quotidiano orrore.
Occhi che parlavano della loro anima e questi occhi li abbiamo ritrovati nelle foto del campo. Tutti uguali, infiniti, muti, increduli.
Una foto in particolare – ci indica la guida – un sacerdote salesiano di nome Józef Kowalski dichiarato beato dalla Chiesa. Anche lui, come San Massimiliano Kolbe, ha continuato a pregare nella sua cella e quando lo hanno scoperto non ha voluto calpestare la corona del rosario ed e’ stato soffocato negli escrementi.
Questo ci ha fatto prendere coscienza di quanto l’uomo può accanirsi verso un altro suo simile per futili motivi.


Ed è un’ esperienza da condividere per non dimenticare e guardare il tuo prossimo come te stesso.

Il popolo di Israele è vivo

Una giornata in visita ai campi di sterminio di Alberto Pezzotta

… Per lunghi minuti si sente solo il rumore del vento e dei passi di una massa di turisti che ora procede incolume e senza rischi. Poi si procede verso l’uscita. Dietro di noi, un folto gruppo di ragazze israeliane, con la bandiera e t-shirt bianche azzurre. Alcune sono falascià. Tra gli accompagnatori spiccano tre tipi grossi come armadi, con occhialetti neri e capelli rasati. Penso all’ingiustizia e alla violenza che continua a subire un popolo costretto ad andare in vacanza con le guardie del corpo. Le ragazze però sembrano allegre: improvvisamente cominciano a cantare, e non è il lamento funebre che un goy come me si aspetterebbe, ma una canzone gioiosa. Decido di avvicinarmi a uno dei presunti agenti del Mossad per chiedere che cosa cantano. Mi squadra sospettoso e mi risponde solo: “It’s religious”. A quel punto mi avvicina un signore anziano, amichevole, che mi mette una mano sulla spalla e mi spiega che cantano “Am Israel chai”, “Il popolo di Israele è vivo” Penso che solo loro, e in questo modo, possano dare un senso a tutto quello che abbiamo visto.
L’articolo completo:
http://www.corriere.it/cronache/13_gennaio_27/turismo-auschwitz-lettore%20_f3dbb5ea-689d-11e2-b978-d7c19854ae83.shtml

La poesia: filo spinato


Filo spinato

Su un acceso rosso tramonto,
sotto gl’ippocastani fioriti,
sul piazzale giallo di sabbia,
i giorni sono tutti uguali,
belli come gli alberi fioriti.
È il mondo che sorride
e io vorrei volare. Ma dove?
Un filo spinato impedisce
che qui dentro sboccino fiori.
Non posso volare.
Non voglio morire.

Peter, bambino ebreo

Testimonianze

Ancora alcune testimonianze dall’ultimo pellegrinaggio dell’estate 2017 in Polonia

La visita ad Auschwitz e a Birkenau ci ha toccato moltissimo, le immagini dei campi e della mostra sono e rimarranno sempre impresse nel cuore e nella mente…. Ci ha colpito molto la montagna di capelli esposta dietro quelle vetrate (noi che se abbiamo un capello fuori posto ….!!!!) e le scarpe ammucchiate.

Ci è ritornata alla mente una poesia di Joyce Lussu: “C’è un paio di scarpette rosse”… poesia bellissima che aveva imparato a memoria nostra figlia…), ma vedendo quelle scarpette reali è tutta un’altra cosa !!!!

Manuela e Stefano


 

Mi ha colpito Birkenau.
È grande, molto, a percorrerlo, oltre e tornando,dalla schiera degli alberi mi ha colpito la sistematicità e la volontà di eliminare.
Penso a quanto può una coscienza indottrinata e sviata.
Penso al condizionamento che rende praticabile ciò che è condiviso.
Oltre il chiedere solo il silenzio, se si affida all’amore, potrà essere fecondo…

Raffaele Facci

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