L’ amore vince su tutto

Una riflessione di Sara Bellini – studentessa dell’Istituto Marzoli – scaturita dal suo viaggio ad Auschwitz.

Premetto che, probabilmente, non esiste un aggettivo in grado di descrivere Auschwitz. Tutte le parole risulterebbero inadeguate. Posso però affermare che Auschwitz è senza dubbio un’esperienza da provare, da vivere, da sbatterci il naso, per rendersi conto di quanto può essere bestia quello che si definisce “essere umano”. Visitare Auschwitz, uno degli emblemi della violenza umana, è utile non solo per conoscere e mantenere viva la memoria, ma al tempo stesso è un’opportunità che ci viene data per cercare di migliorare il futuro. Da tanto volevo fare un viaggio ad Auschwitz o, per lo meno, in un campo di concentramento. Nonostante sapessi che non sarebbe stata un’esperienza semplice dal punto di vista emotivo, questo periodo storico ha sempre suscitato il mio interesse perché, essendo così vicino ai nostri giorni, è come se dovessi assolutamente averne una testimonianza diretta. Così ho aderito molto volentieri alla proposta del Treno per Auschwitz. Prima della partenza le aspettative erano contrastanti. Se da un lato la mia sete di conoscere era grande, dall’altro c’era la paura di non riuscire a resistere ad emozioni forti. E credo che sia stata la visita ad Auschwitz II quella che più mi ha scossa perché nulla in quei luoghi è riuscito ad arrivare nel mio cuore e ad avere un forte effetto su di me quanto la collezione di fotografie sequestrate ai prigionieri. E’ stato proprio verso la fine. Lì, in quella grande sala, con tutte quelle immagini che ti piombano di colpo sugli occhi e sull’anima; credo che associare tutti quei visi sorridenti e quelle vite felici, prima di Auschwitz, alla miseria del posto in cui sono stati distrutti per non tornare mai più, proprio lì a quel punto, nonostante la mia lontananza da quegli orrori e il fatto che entro poco tempo sarei ritornata alla mia vita felice, mi sono davvero commossa.

Io ho sempre amato guardare vecchie foto, mi piace avere quella nostalgia per dei momenti belli che so non torneranno mai e a Birkenau mi sono resa conto che non l’avevo mai sentita così forte. Tanti sogni spezzati, tante vite massacrate e in nome di chi? In nome di cosa? Così, capisco che l’esperienza in Polonia mi ha insegnato a rendere ancora più saldi i miei principi, a non aver paura di esporre le mie idee e a valutare autonomamente tutto quello che mi viene proposto evitando di considerarlo giusto perché “lo dicono tutti”: ho visto bene le conseguenze della adesione cieca a un’idea sbagliata … Se e quando avrò dei figli, io voglio educarli alla tolleranza e al rispetto di ognuno, ma desidero anche che loro siano accolti allo stesso modo. Nessuno deve più subire simili orrori. Mi rendo conto tuttavia che il mondo è ancora pieno di violenza ed è forte il bisogno di un cambiamento radicale nel modo di fare, di pensare, di aprirsi agli altri. C’è ancora troppa diffidenza nei confronti di chi è “diverso” da noi. Viviamo tutti troppo attaccati alle nostre convinzioni e ci crogioliamo nella presunzione di essere nel giusto. Credo, invece, che dovremmo fare del nostro meglio per accettare il prossimo e comprenderlo nella sua unicità. Non è necessario spingersi fino ad una situazione critica per riuscire ad immedesimarsi e capire “cosa si prova”; è semplicemente giusto sostenere una persona in quanto tale, nella sua individualità, accettando le sue scelte, che siano esse religiose, culturali, politiche, sessuali. Perché è giusto così; ognuno di noi dovrebbe poter essere libero di essere e pensare, nel rispetto delle regole e dei diritti altrui. E proprio noi giovani siamo spesso soggetto/oggetto di questa violenza. In quel periodo della nostra vita in cui ci affacciamo al mondo, in cui cerchiamo anche noi di trovare il nostro posto nella vita, accade purtroppo spesso di essere “sminuiti” a causa dell’aspetto o di idee diverse da quelle spacciate come “normali” o “convenzionali”. Molti adolescenti vengono derisi, a volte addirittura minacciati, emarginati.

Ecco, io vorrei che questo finisse, poiché anche questa forma di non accettazione della diversità potrebbe sfociare in odio vero e proprio e sappiamo molto bene a quali conseguenze questo potrebbe portare.

tratto da: https://www.istitutomarzoli.gov.it

DONO

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Tutti riceviamo o facciamo di tanto in tanto qualche regalo, alcuni rimangono scolpiti nella memoria e nel cuore. Non conta la grandezza o la preziosità, magari sono solo piccoli gesti fatti da parte di persone che non ti aspetti, anche le più povere, in situazioni non sempre facili o felici, modi diversi per esprimere sentimenti, parole non dette. Paola ricorda la sua esperienza di degenza in ospedale: la cioccolata di “A”, le tre arancine di “L”, la bottiglia d’acqua di “R”, lasciate “a sorpresa” vicino al suo letto. Tutte persone provate dalla vita ma non ripiegate su se stesse, capaci di esprimere amicizia, gratuità. Anche nel dolore si può essere testimoni di condivisione autentica, se ci si mette il cuore.

Un dono è più di un regalo, è silenzioso ma denso di significato, è inatteso, non lo si può comprare né lo si può pretendere. È fatto per essere scambiato e richiama, di per sé, al desiderio più profondo che c’è in ognuno di noi, quello di amare ed essere amati. Donare è aprire il cuore offrendo il nostro tempo, i talenti, accogliere e condividere esperienze, gioie e sofferenze, la vita stessa.

Questo è stato Massimiliano Kolbe, e non solo nel momento dell’offerta suprema ad Auschwitz, nella cella dell’amore, ma in tutta la sua esistenza, povera, francescana e missionaria, è stato dono, sempre. Madre Teresa di Calcutta, presente alla canonizzazione di Kolbe, disse: “Massimiliano Kolbe è un grande dono di Dio fatto al mondo”. La sua vita era segnata dall’amore, per questo la sua testimonianza ci conquista e il suo messaggio è così importante e attuale. Lo ascoltiamo, lo vediamo nel volto dei tanti pellegrini che accogliamo presso il nostro Centro di Harmeze.

Un cuore che ama è la strada della gioia che Dio ha tracciato per ognuno di noi.

> Kolbe, nel momento dell’arresto, prima di salire sulla macchina della Gestapo si voltò a guardare i suoi frati e disse loro soltanto: “Non dimenticate l’amore”.

Le Missionarie di Harmęże, Polonia

Misjonarki Niepokalanej Ojca Kolbego
dom rekolekcyjny Św. Maksymiliana Kolbego
Harmęże, ul.Franciszkańska 13
32-600 OŚWIĘCIM – POLSKA
Tel. (+48) 338.44.43.47
E-mail: mis.kolbe.harmeze@poczta.fm

Kolbe: solo l’amore salva il mondo

Una pagina di storia, forse una pagina di Vangelo, una pagina di vita di un uomo come noi, di un santo dei nostri tempi. Il suo messaggio risuona ancora fra le pareti di quella cella che molti di noi hanno visitato, ad Auschwitz, e nella memoria del nostro cuore…

Dal libro Massimiliano Kolbe – Solo l’amore salva il mondo, di Renzo Agasso/Domenico Agasso jr

29 luglio / 14 agosto 1941:

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Un mondo di fiabe

La bellezza che sa sbocciare anche in mezzo all’orrore, inaspettatamente, è una forma di resistenza alla realtà, un fiore raro e quindi prezioso. E la bellezza, struggente delicata e inattesa, ha saputo fiorire anche ad Auschwitz…

Le favole di Auschwitz (2009) è un volume edito dal Museo Statale di Auschwitz-Birkenau a cura di Mariusz Banachowicz e Jadwiga Pinderska-Lech.
Sono il frutto dell’opera illegale di alcuni prigionieri polacchi che lavoravano negli uffici del cosiddetto Bauleitung, l’amministrazione edilizia del lager dove venivano vagliati i piani di ampliamento del campo.
Un estratto dal volume “Di tutto ciò che vive”:

 

A mio figlio

Non conto i pensieri che verso te migrano
Piccolo amico mio, figlio lontano
Si potrebbero forse contare le onde che cullano
Di continuo una nave in un battibaleno?
A te penso come a un fresco mattino
Di tanto tempo fa dove di pini v’era una foresta
Ricordo stradine e sentieri, tracce del nostro comune cammino
E le parole simili allo scatto di una bianca colomba che a volare s’appresta
E la tua anima, figliolo, rammento
Che mai dall’infamia è stata macchiata
E i giorni delle tue emozioni e del tuo sentimento
Son per me ricordi di un’aurea ballata
Ahimè, non comprenderai forse questi discorsi confusi
Tutto ti canta di questi suoni la melodia
Ed essi sono nel mio cuore racchiusi
Quanta tristezza e nei suoi soffi la malinconia

tratto da: https://www.agiroergosum.com

Ricordi azzurri

“Prima di essere professionisti nel mondo del pallone, i calciatori sono soprattutto uomini”. Anche il mondo del calcio è stato in visita ad Auschwitz con la nazionale italiana nel 2012 e quella under 21 nel 2017. Alcune testimonianze del loro passaggio:

Li ho accompagnati e abbiamo condiviso piu’ di due ore nel piu’ grande cimitero del mondo, cimitero particolare in quanto senza tombe. Una bella esperienza con ragazzi giovani e molto interessati. Non e’ stata una visita “dovuta” o di “facciata”, in loro ho visto il desiderio di capire il perche’ l’uomo e riuscito ha fare questo ad altri uomini, la voglia di farsi accompagnare nell’orrore umano lasciandosi andare alle emozioni da trasformare poi in voglia di conoscenza. Nei loro occhi e nelle loro espressioni ho rivisto i tanti ragazzi che ogni giorno guido in questo luogo.

Indipendentemente da dove provieni, chi sei e cosa fai nella vita, il Campo di Auschwitz e la sua tragica storia ti portano allo stesso livello emozionale…

La domanda e’ sempre la stessa:”Come e’ potuto accadere?”.

Dal blog di Michele la guida italiana di Auschwitz: https://www.guida-auschwitz.org/2017/06/20/la-visita-ad-auschwitz-con-la-nazionale-italiana-under-21/

 

Dopo un’ora di visita al museo del lager, il commissario tecnico Prandelli, i giocatori e i dirigenti hanno sostato in silenzio per alcuni attimi di fronte al muro dove venivano eseguite le condanne a morte.  Il portiere Buffon ha deposto una corona di fiori bianco-rosso-verdi. Ciascun giocatore ha posato un lumino in memoria dei morti. “Per noi è stata un’esperienza molto toccante, è stato importante venire qui per ricordare e testimoniare, nella consapevolezza che tutto quello che è accaduto non si deve mai più ripetere”, ha detto il difensore della Juventus Chiellini. “Sono contento di vedere qui tanti ragazzi, tante scolaresche, è giusto che sia così per fare in modo che anche le generazioni future possano provare questa esperienza. Bisogna comunicare la lotta contro ogni discriminazione razziale e contro ogni atrocità commessa”.

tratto da: http://www.deportati.it/news/ausch_nazionale/