Storie che cambiano il mondo

Ci sono storie che devono essere raccontate. Sono storie che cambiano il mondo: esse hanno il potere, raro e prezioso, di cambiare la vita di chi le racconta e di chi le ascolta. La storia di Irena Sendler è una di queste. E’ una storia un po’ magica, sembra quasi una favola tanto è bella e, tuttavia, è una storia vera.

Irena nacque nel 1910 a Varsavia in Polonia. Quando nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale, lavorava in un servizio sociale e aveva soltanto 29 anni. Iniziò da subito a proteggere gli amici ebrei a Varsavia. Nel 1940 fu eretto il ghetto e Irena iniziò a entrarvi con vari pretesti: ispezioni per verificare potenziali sintomi di tifo, ispezioni alle tubature d’acqua. I pretesti variavano, ma lo scopo vero no: Irena iniziò a trasportare fuori dal ghetto decine e decine di bambini di tutte le età, per salvarli dalla morte certa che li attendeva. Nascondeva i neonati nelle casse del furgone, i bambini più grandicelli in sacchi di juta. Addestrò il suo cane ad abbaiare quando arrivavano i tedeschi, perché non potessero sentire i pianti disperati dei bambini che venivano separati dai loro genitori. Irena più volte in seguito ebbe a dire che in realtà i veri eroi erano quelle madri e quei padri che decisero di affidarle i loro bambini. La sua libertà di entrare e uscire dal ghetto le permise di convincere i genitori ad affidarle i bambini, affinché si potesse evitare loro la vita di stenti del ghetto con la speranza di poter riunire le famiglie in futuro. Alla fine Irena riuscì a salvare circa 2500 bambini. E’ un numero impressionante. Quanti viaggi avrà fatto per portarne fuori così tanti? Non tutti erano nel ghetto, molti erano anche negli orfanotrofi. Irena li prendeva e forniva loro una nuova identità, li affidava a famiglie e preti cattolici. Questi bambini ora sono adulti e, soprattutto, sono vivi. Ma il sogno di Irena era quello di restituire loro un giorno la famiglia d’origine. Nascose quindi per anni in barattoli di marmellata vuoti i fogli con i nomi delle famiglie d’origine, poi sotterrò i barattoli nel giardino.

Ad un certo punto la Gestapo la catturò. Subì la tortura, le fratturano entrambe le gambe e le braccia. Irena riuscì a non rivelare il suo segreto. La condannarono a morte, ma la resistenza polacca attraverso l’organizzazione clandestina ZEGOTA riuscì a salvarla, corrompendo alcuni soldati tedeschi. Cosi alla fine della guerra questi preziosi barattoli furono recuperati da Irena e utilizzati per ricontattare 2000 bambini. Le loro famiglie erano state sterminate e nella maggioranza dei casi il ricongiungimento non fu possibile.  

Dal 1965 il suo nome fu menzionato nell’elenco del museo Yad Vashem fra i “Giusti tra le Nazioni” e nel 1983 un albero fu piantato nel giardino dello stesso museo in Israele in suo onore…

 

la storia completa nel sito: https://www.linkiesta.it/it/blog-post/2012/06/22/la-vita-in-un-barattolo-irena-sendler-e-il-destino-di-2500-bambini-ebr/8397/

Ilse Weber, la poetessa e musicista di Auschwitz

La storia di Ilse Weber, poetessa e musicista ebrea, che scelse volontariamente la deportazione per non abbandonare i quindici bambini a lei affidati.

…assieme al marito e al figlio più piccolo Tomáš, fu rinchiusa nel ghetto di Praga e successivamente, nel febbraio del ’42, deportata a Terezin (Theresienstadt) “il ghetto modello” da cui partivano i trasporti per Auschwitz, dove gli ebrei venivano sterminati. A Terezin Ilse fece l’infermiera ‘nell’ospedale’ dei bambini, creando per loro e per gli altri prigionieri poesie e canzoni che accompagnava suonando il liuto e la chitarra. Una sua poesia suscitò violente reazioni da parte delle SS, senza fortunatamente che Ilse ne fosse individuata come autrice. Un’altra, ‘Lettera al mio bambino’, indirizzata al figlio lontano, fu tradotta e pubblicata nel 1945 in Svezia e Hanuš poté così leggerla. Ilse Weber lavorava come infermiera per i bambini del campo, facendo tutto il possibile per i piccoli pazienti senza l’aiuto di medicine che erano proibite ai prigionieri ebrei. Ha scritto circa 60 poesie-canzoni- ninne nanne durante la sua permanenza a Terezin e per alcune di queste ha scritto anche la musica. Quegli scritti sono ora diventati patrimonio comune dell’umanità. Erano parole di conforto e di speranza per i detenuti che le imparavano a memoria e vi si aggrappavano; luce nel buio profondo di quel Lager che la storia ricorderà come il Lager dei bambini. Sono ninne nanne, filastrocche, poesie, canzoni, nate nelle notti insonni che Ilse passava in infermeria accanto ai piccoli malati, dopo le lunghe giornate trascorse ad accudirli con lo stesso amore che avrebbero avuto le loro madri. Molte delle sue composizioni, cariche di struggente nostalgia, sono dedicate a Hanuš; altre ai bambini di Theresienstadt; altre ancora ci raccontano ciò che provava, vedeva e viveva all’interno di quell’inferno quotidiano. Nel 1944, il marito fu per primo deportato ad Auschwitz dove riuscì a sopravvivere ma poco prima di partire era riuscito a seppellire sotto terra, in tutta fretta, nel capanno degli attrezzi, le poesie e le canzoni che la moglie aveva composto nei due anni di permanenza a Terezin.

tratto da: http://www.sguardididonna.it/vocedonna/contatti.htm

 

Wiegala: la ninna nanna

E’ possibile cantare mentre si va a morire? Wiegala: la canzone che Ilse Herlinger Weber ha cantato nella camera a gas insieme ai bambini il 6 ottobre 1944

Wiegala Fai ninna, fai nanna, mio bimbo, lo sento risuona la lira al soffiare del vento, nel verde canneto risponde l’assolo del canto dolce dell’usignolo. Fai ninna, fai nanna, mio bimbo, lo sento risuona la lira al soffio del vento. Fai ninna, fai nanna, gioia materna, la luna come una grande lanterna, sospesa in alto nel cielo profondo volge il suo sguardo dovunque nel mondo. Fai ninna, fai nanna gioia materna, la luna è come una grande lanterna. Fai ninna, fai nanna, sereno riposa dovunque la notte si fa silenziosa! Tutto è quieto, non c’è più rumore, mio dolce bambino, per farti dormire. Fai ninna, fai nanna, sereno riposa dovunque la notte si fa silenziosa!

Wiegala, wiegala, weier, der Wind spielt auf der Leier, er spielt so süß im grünen Ried, die Nachtigall, die singt ihr Lied. Wiegala, wiegala, weier, der Wind spielt auf der Leier. Wiegala, wiegala, werne, der Mond ist die Laterne, er steht am dunklen Himmelszelt und schaut hernieder auf die Welt. Wiegala, wiegala, werne, der Mond ist die Laterne, Wiegala, wiegala, wille, wie ist die Welt so stille! Es stört kein Laut die süße Ruh, schlaf mein Kindchen, schlaf auch du. Wiegala, wiegala, wille, wie ist die Welt so stille!

 

 

la Shoah spiegata ai bambini

Un bellissimo libro per far conoscere ai più piccoli la storia dell’Olocausto. Il sottotitolo del libro è infatti “La misteriosa scomparsa di Aghi e Spille dalla Bottega di Nuvoletta Gentile”

 

 

In un piccolo villaggio Nuvoletta Gentile cuce magnifici abiti da sposa nella sua Bottega dei fili fin da quando era bambina, aiutata da Aghi Canterini, Bottoni dorati, Forbicine da Ricamo, Fili di Seta e Ditali. Ma quando in paese arriva un nuovo sindaco, il Generale coi Baffi, come lo chiamano tutti, le cose sono destinate a cambiareVI .

Anche se a volte gomitoli, fili, aghi e spille litigano tra loro, Nuvoletta Gentile interviene sempre a mettere pace e a ricordare il ruolo di ciascuno nella Bottega: OGNUNO DI VOI È IMPORTANTE ALLO STESSO MODO. Che siate Aghi, Spille, Gomitoli, Ditali, Forbici o Bottoni, senza di voi non si può fare alcun vestito degno di questo nome”.

Ma un bel giorno il Generale decide di rimuovere Nuvoletta dal suo incarico alla Bottega, e d’ora in avanti sarà lui a stabilire le regole: innanzitutto niente più aghi, niente più spille, niente più punture per tutti!   “E noi cosa faremo?”   domandano intimoriti gli aghi e le spille.     Aghi e Spille da oggi non servono più. VI METTEREMO IN UN CASSETTO PER SEMPRE.”   

Trasportati in un cassetto diviso in scomparti, chiusi nei loro astucci numerati, centinaia e migliaia di aghi e spille se ne stavano lì ammassati, “dove non c’era quasi nemmeno l’aria per respirare.” Le Forbici formavano uno squadrone che sorvegliava su tutto e tutti, ora si usavano solo Chiusure Stretch, il lavoro era continuo e balli e canti erano proibiti. Intanto gli Aghi e le Spille continuavano ad essere arrestati, ma quando non ci fu più spazio per loro nel cassetto il Generale coi Baffi ordinò ai Ditali di fonderli per liberare spazio e costruire nuove Forbici con il metallo fuso.

FONDETELI TUTTI, A NOI NON SERVONO PIÙ.”E COSÌ LA VECCHIA STUFETTA INIZIÒ A LAVORARE A PIENO REGIME.”

E intanto scomparivano sempre più tubicini… Sarà un piccolo ago insieme ad un gruppo di ribelli a denunciare la crudeltà del Generale e a riportare la pace alla Bottega dei fili.

Per noi adulti non è difficile cogliere il senso dietro queste parole e vedere il vero volto di Aghi e Spille che, da un giorno all’altro “non servono più”. Riusciamo a vedere il Campo di concentramento dietro quel cassetto e i forni che lavoravano senza sosta dietro la vecchia stufetta. Noi conosciamo già la storia, sappiamo com’è andata, ma i bambini no, e questo racconto servirà loro a capire che il male esiste, sotto varie forme, e che può essere sconfitto ma a un caro prezzo. Questa storia di aghi e di spille vuole instillare nei più piccoli la consapevolezza che l’uguaglianza e la libertà sono diritti sacrosanti, e lo fa in modo delicatissimo. Per cui leggiamo questi racconti ai nostri bambini, iniziamo ad insegnargli l’inviolabilità di certi valori, come il rispetto per l’altro, l’aiuto ai più deboli, l’essere grati per la propria vita.

tratto da: https://theimbranationgirl.wordpress.com/2017/01/27/la-shoah-spiegata-ai-bambini/

la vita è una cosa meravigliosa

La testimonianza di  Alberto Mieli  – uno degli ultimi deportati romani – nell’ intervista del 27/01/2017. “Ho avuto la fortuna o la sfortuna – dice – di vedere l’apice della cattiveria, della brutalità, della malvagità dell’uomo. Dove può arrivare l’uomo a fare cose contro un suo simile. Ma sono atrocità che continuano ancora oggi, in tante parti del mondo.”  Punto di riferimento per gli studenti, in questi anni è stato la memoria vivente della Shoah e tutto quello che lui ha fatto in vita non sarà mai dimenticato.

Risultati immagini per alberto mieliSul braccio mostra il numero 180060.  “Quando me lo fecero piansi. Pensai, sono marchiato come una bestia”.
Seguendo la memoria di Alberto si rivive come un film in bianco e nero la Roma nazifascista, le leggi razziali, il suono delle sirene, i rifugi anti-aerei. Furono tre francobolli avuti a Roma dai ragazzi della resistenza, a far sprofondare Alberto nel girone infernale della Shoah. Alberto non ha perso la luce negli occhi,  ma un’ombra profonda attraversa il viso quando gli si chiede di raccontare la vita nei campi di concentramento. “Ancora sento l’odore acre avvertito appena arrivato lì. Credevamo che fosse per il materiale chimico utilizzato nelle fabbriche di guerra, ma nel giro di 4/5 giorni venimmo a sapere che si trattava dei forni crematori che lavoravano, 24 ore su 24, per bruciare cadaveri”.
Le donne hanno sofferto di più.“Venivano umiliate. Tagliavano loro i capelli e poi venivano denudate davanti a tutti…
Un giorno, Giovanni Paolo II – “un grande uomo che sapeva bene chi erano i nazisti” – gli chiese come ha fatto a sopravvivere a quell’inferno. “Non lo so”, dice Alberto. “Ancora non so rispondere a questa domanda. Botte ne ho prese tante. Il dolore fortissimo. Ma la vita è più forte, hai sempre la speranza di uscirne illeso”.
È quella luce fievole, ma sempre accesa, ad averlo tenuto in vita, dentro. Ed è quella luce che ora cerca di far vedere ai ragazzi, andando a incontrarli nelle scuole. “Dico loro di fare cose buone e di non dare mai dispiacere ai genitori, di non ascoltare i compagni che vorrebbero portarli sulla cattiva strada perché potrebbero pentirsi per tutta la vita. E poi dico che abbiamo avuto un grande regalo dal Signore che è la libertà. Questa è una cosa sacra, si può dare la vita per la libertà. Un uomo non è nulla, se non può esprimere le proprie idee, ma soprattutto se non sa rispettare quelle degli altri. Dico ai ragazzi che la vita è una cosa bellissima”.

Risultati immagini per alberto mieliI bambini…prego ogni mattina quando mi alzo per loro e chiedo al Signore di benedire i bambini, di proteggere i bambini 

tratto da: https://agensir.it/italia/2017/01/27/giorno-della-memoria-alberto-mieli-ai-ragazzi-oggi-dico-che-la-vita-e-una-cosa-bellissima/

 

L’angelo della bontà

La storia di Stanisława Leszczyńska, meglio conosciuta come “la madre” e “l’angelo della bontà” che aiutò le partorienti nel campo di concentramento nazista. Nel 1992 è iniziato il suo processo di beatificazione.

Stanisława ebbe molta fortuna. Riuscì a portare con sé, dentro un tubetto di dentifricio, alcuni documenti scritti in tedesco attestanti il suo lavoro come levatrice. Nonostante l’enorme rischio che stava correndo, andò a parlare con il famigerato dottor Mengele, offrendo la sua assistenza alle donne durante il parto….assistette a circa tremila nascite. Neanche un bambino nacque morto. Né morì alcuna partoriente. La levatrice faceva nascere i bambini nel caminetto che si trovava nel dormitorio. Invece di bende e garze, aveva a disposizione una coperta sporca che dovette scuotere per quanti pidocchi vi vivevano. Le donne facevano asciugare pannolini adagiandoli sulla pancia o sulle cosce, perché appenderli dentro il dormitorio era punibile con la morte.

Nel campo di concentramento,tutti i bambini– contro ogni previsione – sono nati vivi, belli e robusti. La natura, opponendosi a l’odio, lottava con ostinatezza per i loro diritti, attraverso una inesauribile fonte di vita.

I prigionieri chiamavano Stanisława Leszczyńska “la madre” e “l’angelo della bontà”, che – come scrisse successivamente una delle madri di Auschwitz, Elizabeth Solomon, in una poesia – è venuto a dare “la notizia per i secoli a venire che lì – in mezzo alla morte, alla miseria e alla sporcizia – Maria, in una camicia a righe, ha dato alla luce Gesù”.

Racconta Bronisław Leszczyński che una volta, la notte di Natale, l’ostetrica ha ricevuto dai suoi genitori un pacco con del pane. Tagliato a fettine, lo pose su un pezzo di cartone e lo diede come ostia ai prigionieri. Improvvisamente entrò nel dormitorio il Dottor Mengele, “l’angelo della morte”. Mia madre cercava il suo sguardo. E lui abbassò lo sguardo e disse che, per un attimo, gli sembrò di sentirsi umano. E a chi lo ha detto? A una prigioniera, a una donna polacca. Il dottore andò via, e non vi fu alcuna persecuzione. La gente sapeva che lei aveva un potere su di lui”

tratto da: https://beppebortoloso.wordpress.com/2018/01/29/lostetrica-che-ad-auschwitz-salvo-tremila-bambini-dalla-morte

Infanzia miserabile

Infanzia miserabile, catena
che ti lega al nemico e alla forca.
Miserabile infanzia, che dentro il
suo squallore già distingue il bene e il male.
Laggiù dove l’infanzia dolcemente
riposa nelle piccole aiuole di un parco
laggiù, in quella casa, qualcosa si è spezzato
quando su me è caduto il disprezzo:
laggiù, nei giardini o nei fiori
o sul seno materno, dove io sono nato
per piangere…
Alla luce di una candela m’addormento
forse per capire un giorno
che io ero una ben piccola cosa,
piccola come il coro dei 30.000,
come la loro vita che dorme
laggiù nei campi,
che dorme e si sveglierà,
aprirà gli occhi
e per non vedere troppo
si lascerà riprendere dal sonno…

Zanus Zachenburg 19/07/1929 – Auschwitz 18/12/1943

L’infanzia rubata

Quando si entra ad Auschwitz c’è silenzio, un silenzio che rimbomba dentro il cuore, ogni sassolino su cui camminavo era un grido silenzioso di dolore. Ogni cosa ad Auschwitz è colma di sofferenza. Il silenzio è assordante e fa rabbrividire. Auschwitz ti cambia, ti smuove qualcosa dentro, ti fa mancare il fiato… i muri di Auschwitz sono freddi e anche se c’è il sole, è buio. In questo luogo gli uomini hanno dato la prova di non essere umani. Una delle cose che mi ha sconvolto è stato vedere le scarpine dei bambini, i vestitini e i giocattoli. La cattiveria dell’uomo non ha risparmiato nemmeno i piccoli che si apprestavano alla vita. Ad Auschwitz sono bambini a metà a cui hanno rubato l’infanzia.

foto3Quando ho visto le foto dei bambini ho sentito la necessità di rendere giustizia a questi piccoli angeli innocenti.  Così, l’impegno che prendo per non rendere inutile e banale questa esperienza è quello di tutelare la vita, proteggerla e apprezzarla. Per quei bambini che non hanno avuto la gioia di festeggiare un compleanno, di ricevere le coccole della mamma, per quei bambini strappati alla vita che non hanno potuto piangere per un capriccio, che non sono diventati adolescenti, che non hanno potuto coltivare una passione e che non si sono innamorati.

Per quei bambini volati nel vento che sono morti con l’innocenza e la purezza, mi impegno a rispettare la mia vita – dono prezioso  – a sentirmi sempre fortunata, perché ho avuto l’opportunità di crescere nell’amore. Auschwitz non è il passato ma è un presente che vivrà sempre dentro il mio cuore. Credo che Auschwitz sia una Missione soprattutto per noi giovani che siamo il futuro, una missione quotidiana che non deve appartenere al passato; vedo Auschwitz negli occhi dei profughi che scappano dalla guerra, negli occhi dei poveri e di chi non ha ancora compreso che il bene e l’amore sono le vere cose importanti della vita. Tornando da Auschwitz sono cresciuta e sono ancora più consapevole che queste atrocità non devono succedere mai più.

testimonianza di Antonella, amica di P.Luca Garbinetto