Wiegala: la ninna nanna

E’ possibile cantare mentre si va a morire? Wiegala: la canzone che Ilse Herlinger Weber ha cantato nella camera a gas insieme ai bambini il 6 ottobre 1944

Wiegala Fai ninna, fai nanna, mio bimbo, lo sento risuona la lira al soffiare del vento, nel verde canneto risponde l’assolo del canto dolce dell’usignolo. Fai ninna, fai nanna, mio bimbo, lo sento risuona la lira al soffio del vento. Fai ninna, fai nanna, gioia materna, la luna come una grande lanterna, sospesa in alto nel cielo profondo volge il suo sguardo dovunque nel mondo. Fai ninna, fai nanna gioia materna, la luna è come una grande lanterna. Fai ninna, fai nanna, sereno riposa dovunque la notte si fa silenziosa! Tutto è quieto, non c’è più rumore, mio dolce bambino, per farti dormire. Fai ninna, fai nanna, sereno riposa dovunque la notte si fa silenziosa!

Wiegala, wiegala, weier, der Wind spielt auf der Leier, er spielt so süß im grünen Ried, die Nachtigall, die singt ihr Lied. Wiegala, wiegala, weier, der Wind spielt auf der Leier. Wiegala, wiegala, werne, der Mond ist die Laterne, er steht am dunklen Himmelszelt und schaut hernieder auf die Welt. Wiegala, wiegala, werne, der Mond ist die Laterne, Wiegala, wiegala, wille, wie ist die Welt so stille! Es stört kein Laut die süße Ruh, schlaf mein Kindchen, schlaf auch du. Wiegala, wiegala, wille, wie ist die Welt so stille!

 

 

39 anni dopo

 

L’ incredibile storia d’amore nata nel lager di Auschwitz fra Jerzy e Cyla. Dopo l’evasione dal campo, si perdono di vista, si credono morti e dopo 39 anni si ritrovano.

Flashback. Inverno 1943. Jerzy incontra Cyla in un silos per il grano di Auschwitz. Dal 1940 è prigioniero nel Lager per aver fatto parte della resistenza polacca. Jerzy Bielecki si ricorda molto bene del momento esatto in cui ha visto all’ingresso del silos l’arrivo di un gruppo di una decina di ragazze ebree. Tutte brune, piuttosto sorridenti, l’aria un po’ divertita. Erano sbalorditivamente curate, in quel contesto: portavano dei grembiuli bianchi su delle camicette piuttosto pulite, nei capelli portavano dei foulard legati. Una delle ragazze mi ha sorriso e mi ha fatto l’occhiolino. Sono diventato rosso come un ragazzetto.

Cyla Cybulska veniva da un paesino dell’Est della Polonia. Era arrivata al campo nel gennaio 1943 con tutta la famiglia – i genitori, la sorellina e i due fratelli. È l’unica ad essere sopravvissuta.

È lì che Cyla s’innamorò di Jerzy, un giovane polacco cattolico, uno dei primi prigionieri di Auschwitz. Jerzy era stato arrestato mentre tentava di fuggire in Ungheria per attraversare l’Europa nel tentativo di unirsi all’esercito francese. Divampa il loro amore. Riescono a parlarsi durante i pasti in fabbrica grazie all’indulgenza (e alla corruzione) delle guardie.

Ero pazzo di lei. E del resto vedevo bene che, da parte sua, neppure lei era insensibile alle mie avances. Eravamo come degli adolescenti sulla panchina di un parco: ci rubavamo baci mentre tutt’intorno a noi la morte corrodeva ogni cosa.
Un giorno Cyla corse in lacrime verso Jerzy. La sua migliore amica era appena stata fucilata da una SS… «Non piangere, Cyla, ti porterò via da questo inferno», le promise Jerzy – e subito si mise a studiare i preparativi per l’evasione.

La cosa mi sbloccò. Non avrei avuto il coraggio di farlo per me stesso. Sapevo come finivano i tentativi di evasione. Ma per Cyla e per il nostro amore ero disposto a fare tutto, anche l’impossibile.

Chiese a un amico di procurargli un’uniforme tedesca. La ricevette un po’ alla volta. Dopo di ciò, grazie alla sua posizione relativamente privilegiata di prigioniero germanofono, giunse a ottenere un lasciapassare. Ma quando fu pronto il suo piano di evasione, nel maggio 1944, le ragazze smisero di venire a lavorare al silos – dall’oggi al domani. Jerzy non sapeva neppure se lei fosse ancora viva.

Qualche mese più tardi ricevette un messaggio:

Jurek [diminutivo di Jerzy in polacco, N.d.R.], mio caro, lavoro al lavatoio. Cerca di passare a trovarmi.

Riuscirono a rivedersi. Il 20 luglio 1944, Jerzy ha appena il tempo di mormorarle: «Domani una SS del dipartimento politico verrà a cercarti per un interrogatorio. A domani».

Cyla non pose domande. L’indomani la ragazza vide davanti all’ingresso… Jerzy travestito con l’uniforme da Rottenführer SS. Salutò la guardiana e con passo deciso portò via Cyla. Mancava solo l’esibizione del lasciapassare alla guardia del Lager… e sarebbero stati liberi. Dopo nove notti di cammino, arrivarono dallo zio di Jerzy. Per garantirsi la sicurezza decisero allora di separarsi. Jerzy si unì alla resistenza polacca, Cyla si nascose tra i contadini di un paesino. Quando sopraggiunse la fine della guerra, Cyla non riuscì ad avere notizie del suo drudo.Un giorno le dissero che era morto in battaglia. Disperata, decise di partire per New York, dove avrebbe cercato di dimenticare e di ricominciare una nuova vita. Ciò che all’epoca ignorava è che la regione in cui si trovava Jerzy sarebbe stata liberata tre settimane dopo le altre. Quando Jerzy fu alfine liberato, venne a cercare Cyla… con un fatale ritardo di tre settimane.La famiglia di Jerzy gli disse che Cyla era morta in un ospedale a Stoccolma, donde doveva partire per l’America. Ciò che lui non sa è che si trattava di una bugia. Forse i suoi genitori non volevano vederlo sposato con una ragazza ebrea? Molti anni dopo, a New York, Cyla è vedova da qualche anno e madre di una figlia unica. Siamo nel 1982. Cyla propose alla sua donna delle pulizie, polacca, di prendersi un caffè – una rara occasione di chiacchierare con una compatriota. Le raccontò allora la sua storia d’amore e di evasione dal campo di Auschwitz. Che sorpresa fu la sua, quando quella le disse in rimando di aver visto un giorno raccontare esattamente la medesima storia alla televisione polacca! Si trattava di un direttore di scuola che si chiamava, se la memoria non la tradiva… Jerzy.

Non potevo crederci – racconta Cyla –. Ho finito per trovare il suo numero di telefono. «Jurek, sono io, la tua piccola Cyla!». Quando ebbe sentito la mia voce… e lo chiamavo all’alba… comprese subito che ero la sua ragazza di Auschwitz.

  • Qualche mese dopo, Cyla decise di incontrarlo. Prese l’aereo per Cracovia. Quel giorno Jerzy, 62 anni, aspettava impazientemente all’aeroporto di Cracovia. Aspettava che l’aereo da New York atterrasse. In quel volo viaggiava Cyla. La sua piccola Cyla. Aveva in mano un bouquet di 39 rose. Una per ogni anno di separazione… Rinasceva l’amore – immensa emozione. Ma Jerzy, che dopo la guerra s’era sposato, non voleva certo lasciare moglie e figli.È il destino che ha deciso così – conclude Jerzy –. Ma se potessi tornare indietro non cambierei niente.

Cyla Cybulska (morta nel 2006) e Jerzy Bielecki (morto nel 2011) sono restati amici fino alla fine dei loro giorni.

tratto da:https: it.aleteia.org/2018/02/07/auschwitz-cyla-cybulska-jerzy-bielecki/amp/

L’odore

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Che buon odore! Che odore ha? Quante volte abbiamo usato questa parola ma difficilmente ci siamo soffermati a pensare all’importanza di uno dei nostri cinque sensi, l’olfatto. Di per sé sembrerebbe un tema scontato: pensiamo a tutte quelle volte in cui dalla cucina arriva un allarmante odorino di bruciato, oppure ai cani che, per fare conoscenza, annusano le persone da ogni lato; ma anche al profumo del fieno o dei fiori che annunciano la primavera. Odori: esperienze semplici, quotidiane, che muovono ricordi, sensazioni, che si imprimono nella memoria senza parole. Anche le persone hanno un loro “odore” particolare e non dipende dal sapone usato: proviene dai loro sguardi, dai loro sorrisi, dalla serenità ed empatia che emanano e che senti “a fior di pelle”. Viceversa, altre possono trasmettere un odore di chiuso, di falsità. Sì, l’odore rivela l’identità e l’origine vera di ogni cosa.

Mensilmente visitiamo il campo di Auschwitz, e questa volta proviamo a pensare ai prigionieri immersi nel fetore insopportabile di quelle baracche, stretti nel freddo della disperazione e dell’odio che rendeva spesso disumani aguzzini e vittime. Immaginiamo di rivedere qui padre Kolbe mentre spandeva il profumo della carità e della speranza, donando il suo pezzo di pane o stringendo al petto chi stava piangendo. Quante situazioni anche oggi nel mondo dove l’aria è inquinata, quante guerre visibili e nascoste. In questo mese dedicato al s. Cuore di Gesù respiriamo a pieni polmoni il Suo profumo d’amore e ricordiamo nella preghiera le tante persone che soffrono.

E noi, che odore emaniamo in famiglia, nei nostri ambienti? Quale aroma ci piacerebbe inalare e spandere per rendere più bella, più serena la vita di chi ci sta accanto?

Le Missionarie di Harmęże, Polonia 

http://www.kolbemission.org/cella-amore

la Shoah spiegata ai bambini

Un bellissimo libro per far conoscere ai più piccoli la storia dell’Olocausto. Il sottotitolo del libro è infatti “La misteriosa scomparsa di Aghi e Spille dalla Bottega di Nuvoletta Gentile”

 

 

In un piccolo villaggio Nuvoletta Gentile cuce magnifici abiti da sposa nella sua Bottega dei fili fin da quando era bambina, aiutata da Aghi Canterini, Bottoni dorati, Forbicine da Ricamo, Fili di Seta e Ditali. Ma quando in paese arriva un nuovo sindaco, il Generale coi Baffi, come lo chiamano tutti, le cose sono destinate a cambiareVI .

Anche se a volte gomitoli, fili, aghi e spille litigano tra loro, Nuvoletta Gentile interviene sempre a mettere pace e a ricordare il ruolo di ciascuno nella Bottega: OGNUNO DI VOI È IMPORTANTE ALLO STESSO MODO. Che siate Aghi, Spille, Gomitoli, Ditali, Forbici o Bottoni, senza di voi non si può fare alcun vestito degno di questo nome”.

Ma un bel giorno il Generale decide di rimuovere Nuvoletta dal suo incarico alla Bottega, e d’ora in avanti sarà lui a stabilire le regole: innanzitutto niente più aghi, niente più spille, niente più punture per tutti!   “E noi cosa faremo?”   domandano intimoriti gli aghi e le spille.     Aghi e Spille da oggi non servono più. VI METTEREMO IN UN CASSETTO PER SEMPRE.”   

Trasportati in un cassetto diviso in scomparti, chiusi nei loro astucci numerati, centinaia e migliaia di aghi e spille se ne stavano lì ammassati, “dove non c’era quasi nemmeno l’aria per respirare.” Le Forbici formavano uno squadrone che sorvegliava su tutto e tutti, ora si usavano solo Chiusure Stretch, il lavoro era continuo e balli e canti erano proibiti. Intanto gli Aghi e le Spille continuavano ad essere arrestati, ma quando non ci fu più spazio per loro nel cassetto il Generale coi Baffi ordinò ai Ditali di fonderli per liberare spazio e costruire nuove Forbici con il metallo fuso.

FONDETELI TUTTI, A NOI NON SERVONO PIÙ.”E COSÌ LA VECCHIA STUFETTA INIZIÒ A LAVORARE A PIENO REGIME.”

E intanto scomparivano sempre più tubicini… Sarà un piccolo ago insieme ad un gruppo di ribelli a denunciare la crudeltà del Generale e a riportare la pace alla Bottega dei fili.

Per noi adulti non è difficile cogliere il senso dietro queste parole e vedere il vero volto di Aghi e Spille che, da un giorno all’altro “non servono più”. Riusciamo a vedere il Campo di concentramento dietro quel cassetto e i forni che lavoravano senza sosta dietro la vecchia stufetta. Noi conosciamo già la storia, sappiamo com’è andata, ma i bambini no, e questo racconto servirà loro a capire che il male esiste, sotto varie forme, e che può essere sconfitto ma a un caro prezzo. Questa storia di aghi e di spille vuole instillare nei più piccoli la consapevolezza che l’uguaglianza e la libertà sono diritti sacrosanti, e lo fa in modo delicatissimo. Per cui leggiamo questi racconti ai nostri bambini, iniziamo ad insegnargli l’inviolabilità di certi valori, come il rispetto per l’altro, l’aiuto ai più deboli, l’essere grati per la propria vita.

tratto da: https://theimbranationgirl.wordpress.com/2017/01/27/la-shoah-spiegata-ai-bambini/

1, 2, 3 Kapò

La storia di Leone Efrati, detto Lelletto, ebreo romano che venne deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. Dai ring europei passò a quelli non professionistici di Auschwitz per far divertire i suoi aguzzini e per difendere suo fratello vi trovò la morte.

 

Lelletto ha saputo che i kapò nazisti di Auschwitz hanno picchiato selvaggiamente il fratello ed è andato a farsi giustizia da solo, nell’unica maniera che le condizioni in cui lì è ridotta dignità umana gli permettono. Lui conosce bene l’arte del fare a pugni: uno, due, tre kapò non gli resistono. Poi questi iniziano a diventare tanti, troppi. E’ sopraffatto, ridotto al punto tale da non reggersi in piedi. E’ uno che non sta in piedi in quel posto non serve più a niente: viene mandato a morire nel forno crematorio il 16 aprile del 1944.

 

Sale sul ring e dà spettacolo per i suoi aguzzini. Sei peso piuma e devi batterti con un mediomassimo? Fa lo stesso, tanto in quel posto così sinistro non vale uno straccio di regola. Eppure lui emerge anche lì.
Schiva alla perfezione, rientra con colpi che sembrano rasoiate. Quelli che gli mettono davanti saranno pure più grossi, ma Lelletto è uno dei migliori pugili della rigogliosa boxe italiana degli anni trenta.

Quando in Italia entrano in vigore le leggi razziali, il 18 settembre 1938, lui sta iniziando a interessare il pubblico americano…
Potrebbe restare negli Usa, la boxe gli darebbe tranquillità economica ma… Efrati torna in Italia per stare vicino alla sua famiglia, nei suoi progetti c’è anche la boxe. Ma per lui ormai non c’è più spazio, qualsiasi opportunità gli è vietata. Cade in una retata della gestapo. Gli unici incontri che terrà saranno quelli sugli improbabili ring di Auschwitz, l’ultimo per difendere il fratello.

tratto da: http://www.repubblica.it/rubriche/la-storia/2016/01/26/news/leone_efrati_auschwitz-132043054/