Umanità perduta e ritrovata – 1°parte

Dall’11 al 17 febbraio 2018 i ragazzi di terza media dell’I.C. “Rita Levi Montalcini” di Valle Martella (Zagarolo) sono stati in Polonia per un viaggio della Memoria che aveva lo scopo di sensibilizzare i giovani al dramma della Shoah, ripercorrendone i luoghi e rivivendone l’atmosfera, come se nulla da allora fosse mutato. La loro testimonianza, un dono al nostro blog.

Il clima rigido, il cielo grigio e la spessa coltre di neve che copriva ogni centimetro del suolo sul quale camminavamo hanno contribuito notevolmente a stimolare la nostra immaginazione e a richiamarci alla mente le sequenze di film come “La vita è bella”, “Il bambino col pigiama a righe”, “Jona che visse nella balena”, visti a scuola coi nostri insegnanti. Stavolta, però, non c’era alcuna finzione: eravamo totalmente immersi – corpo, mente e cuore – nella realtà gelida e implacabile dei luoghi dove si era consumato l’indicibile. E quel ghiaccio ci trapassava l’anima.

Appena varcato il cancello di Auschwitz, infatti, abbiamo sentito come se si aprisse dentro di noi un grande vuoto: non riuscivamo a provare emozioni, nemmeno ad elaborare un pensiero…qualcosa di ignoto ci stava privando, passo dopo passo, di ogni umanità.

Non dimenticheremo mai le stanze con i cumuli di oggetti appartenuti ai deportati: valigie, documenti, pentole, ma anche scarpe, vestiti, protesi, occhiali, spazzole e – più impressionanti di tutti– i capelli. Montagne di capelli. Tutti segni di una quotidianità bruscamente interrotta, di un’identità brutalmente cancellata. Lì ci siamo sentiti anche noi derubati di qualcosa, come se quegli oggetti fossero appartenuti a noi.

Nel blocco dieci abbiamo visto delle tele dipinte da un deportato sopravvissuto, il quale vi aveva rappresentato la vita quotidiana nel campo: più volte abbiamo vissuto la sensazione di essere parte, ormai, di quelle tele, ora che calpestavamo il suolo di Auschwitz e lasciavamo le nostre impronte nella neve come milioni di uomini e donne più di mezzo secolo fa. Eppure sembra ieri.

In una sala c’erano delle scodelle che ricordavano il magro pasto dei prigionieri; mentre la guida ci spiegava in cosa consistesse il pranzo, abbiamo pensato che per noi oggi quello non corrisponderebbe nemmeno alla nostra merenda. Ciò è assurdo e fa capire quanta crudeltà ci fosse dietro quella pianificazione così perfetta della giornata nel campo.

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ricordi vivi

A distanza di alcuni mesi Bepi e Carla – due partecipanti al pellegrinaggio in Polonia dell’agosto 2015 – ricordano emozionati la loro visita ad Auschwitz.

La visita al campo ad Auschwitz ha creato nel nostro cuore come un senso di soffocamento: abbiamo continuamente davanti ai nostri occhi quelle mostruosità… le celle e in particolare il blocco 11, le camere a gas, il buco sul soffitto, i forni crematori e il cammino per arrivarvi, fotoil muro delle fucilazioni, l’entrata al lager, le candele e i ceri accesi, le foto, gli sguardi, i loro occhi, una sofferenza indicibile che ci toglie letteralmente il fiato. Se pensiamo, poi, anche agli affetti di queste persone… prima divise dai propri cari, poi da loro strappate per sempre a causa delle atroci barbarie delle SS.
Questi ricordi non si cancelleranno mai in noi.
Durante questo percorso ci mancava il respiro, corpo e anima erano catturati e assaliti da profondo dolore, quasi a cedere spazio alle lacrime… molte domande attraversavano la nostra mente, e solo la preghiera riusciva ad attenuare la sensazione creatasi dinanzi a queste atrocità pagate da persone che ci permettiamo di definire sante.
Speriamo profondamente che il ricordo di questa terribile realtà sia di monito all’uomo affinché non ceda all’odio ma faccia predominare l’amore.

Bepi e Carla

Attraversare la porta della misericordia – 1°parte

La missionaria Lucia ha conosciuto al Cenacolo di Borgonuovo, P.Luca Garbinetto della Pia Società San Gaetano. Il Padre era reduce da un viaggio a Cracovia, dove è stato ospite di alcuni amici religiosi Guanelliani. Dopo aver visitato insieme a padre Jarek e ad Antonella i luoghi dell’Olocausto, ha affidato al nostro blog la sua testimonianza.

Il secondo giorno, al mattino, la tanto attesa visita al campo di Auschwitz – Birkenau. Per me era il santuario principale da visitare. Fin da piccolo ho letto e ascoltato tanto del dramma dell’Olocausto; ho visto film che mi hanno commosso e, porto nel cuore, questa terribile pagina della storia assieme a tanti suoi testimoni che mi hanno aperto un modo nuovo di pensare e guardare Dio: Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Etty Hillesum, Dietrich Bonhoeffer… e i racconti di uomini e donne meno conosciuti, ma non meno santificati da tanta sofferenza. Sono andato ad Auschwitz senza aspettarmi nuove notizie o particolari novità: era come se conoscessi già tutto… ma ancora non avevo calpestato quella terra santa e miei occhi non avevano contemplato i segni del martirio, dell’incarnazione culminata nella croce. E così ho camminato due ore in silenzio. Tanto silenzio, ad Auschwitz. Le parole di padre Jarek erano rispettose, ed esprimevano la sua personale ricerca, dura e profonda insieme: ‘avevo promesso di non tornarci più, invece sono già almeno 20 volte che vengo!’. Siamo arrivati alle 10, un po’ tardi, c’era parecchia gente tra le baracche: ma non mi distraevano molto. I miei occhi, i miei orecchi erano tutti per quel silenzio, per le tracce degli innocenti sfregiati nella loro dignità. Morti, passati per un camino. La prima reliquia dopo le ceneri, raccolti nell’urna, sono stati i capelli delle donne, tagliati e ammucchiati per farne tessuto da vendere. I capelli sono parte vivace della bellezza delle donne. Tagliati e venduti. Poi i volti, nelle foto, di tanti uomini e donne, che provavano a rivendicare la propria dignità davanti a macchine fotografiche che li riducevano a criminali e a numeri. Le date parlavano di pochi mesi o addirittura settimane nel campo; forse era meglio così, starci da vivi era una tortura. 

14.08.15 Auschwitz (95)C’erano 5 gradi sotto zero quel giorno… e io vestito di tutto punto avevo freddo: pensavo a loro, nell’inconsistente divisa a strisce, oppure nudi e ammucchiati nel fieno, nelle brande. Il block 10, quello degli esperimenti; il cortile per le fucilazioni e l’impressionante anello a cui si agganciavano sospesi da terra i prigionieri, perché morissero soffocati. E poi il block 11, e giù giù in fondo le celle di isolamento, il buio, l’ultima tappa… e lì un cero acceso. E’ la cella 18, quella di padre Massimiliano Kolbe. Era proprio lì, che pregava e cantava, stremato, cercando di dare vita ai compagni ormai già morti, oltre che di dare la sua vita per il padre di famiglia al posto del quale si è offerto per amore. All’angolo più oscuro di questa macchina perfetta di sterminio, brilla la luce del cero pasquale… L’ha donato papa Wojtyla.

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Auschwitz – le mie impressioni

per non dimenticare… 

trenoUna volta salito sul treno che mi avrebbe portato da Cracovia al Museo Nazionale di Oswiecim, già cominciai a respirare un’aria diversa, forse perché sapevo che visitare Auschwitz sarebbe stata per me un’esperienza che mi avrebbe segnato, che mi sarebbe rimasta dentro per sempre. E così è stato, ancora adesso riesco a vedere nella mia mente quei luoghi: l’ingresso del campo, i crematori, il Muro della Morte, i vari blocchi degli edifici, le stanze dove dormivano i detenuti… Sessant’anni fa la gente moriva in quel posto, io adesso ci sarei andato con la macchina fotografica… Non che fosse sbagliato, so benissimo che non si deve dimenticare ed anzi una foto aiuta a ricordare anche dopo tanti anni, però suscitava dentro di me un leggero malessere, giusto o non giusto che potesse essere.

Il treno avanzava lentamente, la scomodità dei sedili accentuava le scosse che esso provocava. Accanto a me un gruppetto di giovani ebrei, giunti probabilmente da Israele (almeno così si intuiva dai discorsi), smorzavano l’atmosfera con dei sorrisi forzati ed erano impazienti di arrivare a destinazione. Io provavo a mettermi nei loro panni ed a immaginare cosa essi potessero provare nell’andare a visitare quel posto dove tanti ebrei come loro furono trucidati dai nazisti: non credo di esserci riuscito, forse perché neppure io sapevo cosa provavo da italiano.

Comunque il viaggio giunse al capolinea e scesi alla stazione: il posto già lì era abbastanza triste; affacciatomi poi nel paese, la sensazione fu quella di un posto ormai segnato per sempre dalle atrocità che vi furono commesse (sebbene gli abitanti di Oswiecim non ebbero alcuna colpa dei crimini, anzi, cercarono di aiutare i detenuti per quello che potevano).

entrata aIl Museo era a pochissimi chilometri dalla stazione quindi in breve fui di fronte all’entrata. Sinceramente mi dava un pò fastidio già il fatto che la gente riuscisse a mangiare qualcosa lì, al bar-ristorante. Io credo che non ce l’avrei mai fatta ed infatti così fu, specialmente dopo aver visitato tutto l’ex campo di concentramento. E’ quasi impossibile descrivere le sensazioni che ti attraversano mentre sei nel Museo: sebbene fosse agosto, c’era un’atmosfera autunnale, gli edifici cupi e gli alberi altissimi non facevano che accentuare questa mia impressione. Tra le cose che mi colpirono di più ci fu un signore ebreo che davanti alla foto di Hitler (nella sala che narrava la seconda guerra mondiale attraverso immagini e didascalie) prese a inveire contro di lui e cominciò a piangere battendo i pugni contro la faccia del fuhrer. Fu una scena che mi colpì in modo particolare e che è ancora nitida nella mia mente.

Un’altra cosa era che, nonostante avessi con me la mia macchina fotografica, in alcune sale non avevo nemmeno il coraggio di fare delle foto, anche se ciò era consentito,poiché mi sembrava quasi di profanare quei posti… Come si poteva fotografare bloccol’interno dei forni crematori o delle camere a gas dove centinaia di migliaia di persone vi erano state condotte per andare a morire? Io proprio non ce la facevo. E le sale dove erano conservate le migliaia di valigie, scarpe, spazzole, tute carcerarie degli internati? No davvero.

Il mio consiglio è di andare a visitare questo Museo, è un’esperienza che porterete per sempre dentro di voi e che sicuramente ci preserverà dal dover fare ancora i conti con queste atrocità.

Testimonianza di Michele, tratta dal sito www.battifolle.it

 

Una luce nel buio dei cuori

Testimonianza di Francesca Martinelli, ospite estiva delle missionarie della comunità di Harmeze in Polonia.

E’ stato un dono grande e inaspettato che il Signore mi ha fatto, perché questa esperienza oltre ad essere stata bellissima, mi ha permesso di riflettere su alcuni aspetti del mio cammino. Nei momenti di preghiera ho chiesto a san Massimiliano di aiutarmi a capire cosa significa offrire la propria vita fino al punto di andare a morire al posto di uno sconosciuto. E ho capito ciò solo quando ho visitato il campo di sterminio di Auschwitz – Birkenau e ascoltato delle torture subite dai prigionieri, ho visto l’opera di spersonalizzazione operata sulle menti e i corpi con lucida e sistematica crudeltà. Opera che portava il prigioniero a cadere nello stato più basso di degrado psicologico e morale fino a perdere ogni connotato di umanità e dignità. Ho compreso allora tutta la forza di quel gesto di offerta. Lì dove le persone diventano bestie e cadono in una spirale di violenza e di lotta alla sopravvivenza, il gesto di san Massimiliano è stata una luce che ha rischiarato il buio dei cuori.

Insieme alle missionarie abbiamo ripercorso la sua via crucis, il momento in cui si è staccato dalla fila degli altri prigionieri dirigendosi verso il comandante delle SS, quei lunghi, interminabili passi, sfidando la paura e il rischio di venire ucciso sul colpo, per chiedere di fare uno scambio, di andare lui a morire al posto di uno dei prigionieri scelti quella mattina per vendicare il torto dell’evasione di un fuggitivo. 14.08.15 Auschwitz (22)Siamo poi entrate nel blocco 11, e percorrendo il lungo corridoio dove si trova il tribunale riservato ai dissidenti politici e a tutti coloro che erano accusati di complottare contro il regime, siamo entrate per qualche minuto nella cella in cui è stato ucciso. Vedere quel bunker di dimensioni così ridotte, dove si prova un angoscia mortale e dove lui invece, senza acqua ne’ cibo, ne’ alcuna fonte di luce, ha continuato a dare forza e coraggio agli altri prigionieri, tenendo desta la speranza con canti e preghiere, mi ha fatto comprendere ancora di più quanto la sua offerta sia stata un atto veramente eroico. In quel luogo di morte in cui ci si dimentica di essere uomini, lui ha invece ricordato che la legge dell’amore è più forte dell’odio. L’odio alimenta altro odio in una spirale senza fine, non genera nulla ma è destinato per sua stessa natura ad autodistruggersi. Solo l’amore è forza creativa.Le ceneri di padre Kolbe sparse dal forno crematorio sono state come “fertilizzante” che ha fatto germogliare semi di santità in ogni parte del mondo, che ha generato per contagio altre anime con la sua stessa sete missionaria.

Allora la vita trova senso solo nella logica di offerta di cui ci parla il suo modo di donarsi fino alla fine: senza sconti, senza misura. Come Dio che non ha annullato il male, l’ha preso su di sé, si è identificato nel dolore di quei prigionieri e ha vissuto nei loro corpi torturati, violati. Chi va in visita ad Auschwitz non può e non deve dimenticare che quel male è un monito per ricordare fino a quali atrocità si può spingere il cuore dell’uomo quando persegue strade di odio e di violenza.Come è scritto in una targa in cui è riportato il pensiero di Primo Levi, lo scrittore ebreo deportato e sopravvissuto ad Auschwitz: “E’ accaduto, perciò può accadere di nuovo, questo è il messaggio più importante che dobbiamo trasmettere”. Auschwitz è come un marchio indelebile impresso nella mente e nella memoria che insegna a tutti noi l’importanza di testimoniare per non dimenticare.Padre Kolbe è stato un testimone autentico di quella speranza che nasce da una vita donata per un ideale. Imparare a donarsi, imparare come si fa a morire per l’altro, è sperimentare già da ora, su questa terra, cos’è l’eternità.