Con ago e filo… ovvero la speranza non muore

La prima parola che viene in mente guardando questa foto è gioia!  

Suor Rosemary Nyirumbe, delle Suore del Sacro Cuore, viene dall’Uganda, ed è molto conosciuta negli Stati Uniti. Ogni giorno accoglie e si mette a fianco delle ex bambine soldato nell’Uganda del Nord – ragazze schiave sessuali di miliziani senza scrupolo –  ha fondato diversi orfanotrofi e case d’accoglienza ridando dignità a coloro che l’aveva perduta e si sentivano per questo scartate dalla società e dalle stesse famiglie di origine. La speranza non deve mai morire… La sua toccante testimonianza viene raccontata nel libro: Cucire la speranza. La donna che ridà dignità alle bambine soldato. Per queste sue opere caritatevoli ha ricevuto da poco in Polonia il premio Veritatis Splendor. In settembre è stata invitata alla “festa del grazie” organizzata dall’AIPK Onlus a Borgonuovo (BO). In questa occasione ci ha raccontato la sua esperienza nel campo di Auschwitz.

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Ero in Polonia per ritirare il Premio Giovanni Paolo II, istituito dalla diocesi di Cracovia.Lì mi hanno proposto di vedere Auschwitz. È stato un grande viaggio spirituale per me,vissuto molto intensamente e che non immaginavo.In quel momento, pur conoscendo san Massimiliano Kolbe, non avevo collegato il campo con la sua cella. Quando però sono andata e mi sono trovata accanto alla cella in cui ha donato la sua vita, allora ho capito il dono che stavo ricevendo. Allora mi sono fermata e ho cominciato a pregare. La preghiera che tornava alla mia mente era quella di continuare a recitare questa invocazione: “Signore abbi pietà di noi”.

dsc_7136Ho pensato, guardando quei muri e quella cella, che tutto questo è accaduto quando Gesù è già morto per noi. Allora se è successo una volta, può ripetersi. Anche se è un fatto storico avvenuto 70 anni fa, l’ho sentito molto vivo e presente e l’ho abbinato nella mia mente a quanto sta accadendo in diverse parti dell’Uganda, da dove provengo. Gli esseri umani possono distruggersi l’un l’altro. Non ho foto mie nel campo. Appena entrata infatti ho scattato una foto che riportava i numeri incredibili delle vittime. E dopo non ho avuto più il cuore per fotografare e ho continuato il cammino pregando. Dal giorno in cui sono stata nella cella di san Massimiliano, ho cominciato a invocarlo:20161110_210124

San Massimiliano Kolbe, prega per me,

prega per noi, fa’ che siamo perdonati.

Ho bisogno di silenzio

30 agosto 2016. La testimonianza di Silvia al rientro dai campi di Auschwitz e Birkenau.

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Ho bisogno di silenzio!

Dopo le urla, la disperazione e il grido di dolore che esala dalla terra e che ho respirato nei campi, ho bisogno di silenzio!

Il cuore contrito, un nodo in gola che quasi mi soffoca, le lacrime che non scendono perché sono troppe… Ho bisogno di silenzio!

Silenzio per riflettere, ma non per tacere.

Non bisogna tacere ciò che è stato. Bisogna urlare ciò che è stato! Ho bisogno di urlare!

th-4Di urlare a squarciagola perché il nodo che ho in gola mi soffoca. 

Ho bisogno di silenzio perché voglio urlare e nel silenzio tutti possano ascoltare.

 

 

 

Crescere ad Auschwitz

Eleonora – un’adolescente di 14 anni di Mogliano Veneto (TV) – dopo essere stata ai primi di giugno in pellegrinaggio ed aver soggiornato presso la Casa di Spiritualità San Massimiliano Kolbe a Oswiecim, ha lasciato questa testimonianza come ricordo del suo passaggio…

 

E’ stata un’esperienza fantastica, la gente ed il luogo mi sono piaciuti molto. Mi aspettavo emozioni diverse, credevo di non riuscire a provare emozioni così forti. Credevo di annoiarmi, di passare le giornate a leggere ed invece ho trovato persone fantastiche, che si sono aperte con me e con le quali ho potuto parlare.

Auschwitz e Birkenau sono state un momento di pura riflessione per me. Mi hanno insegnato ad accettarmi e a credere in me stessa.Facevo molta fatica prima, ma da questo viaggio ho imparato molte cose. Credevo che tanti fatti non potevano succedere o essere possibili, ma ho capito che la crudeltà umana non ha limiti.

La mostra allestita in questo posto mi ha lasciato senza parole. Pensavo che la gente dopo aver vissuto un’emozione simile non potesse esprimere in qualche modo le crudeltà e le “schifezze” provate. L’arte e il disegno di Marian hanno aperto a me un mondo e un modo nuovo di pensare.
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Nel disegno il deportato n. 432 parla di sé: dopo esser stato colpito da una paralisi ha il coraggio di raccontare per la prima volta la sua sofferenza e l’orrore vissuto ad Auschwitz. Ed ecco che ne esce questo doppio uomo, sdraiato sul tavolo c’è il Marian nuovo che facendosi guidare dalla mano del Marian deportato, ritrae il suo calvario e ne dà testimonianza al mondo. (M.Pia)

 

La forza che vince il male

Ignacia, missionaria dell’Immacolata padre Kolbe, esercita la professione di fotografa, abita a Montero, in Bolivia, dove vive con la sua famiglia.
Da anni è impegnata presso il Centro sociale “Arco Iris de la Alegria”, accoglie e ascolta le persone che arrivano per chiedere un aiuto economico e psicologico, di assistenza medica ed educativo. A settembre è stata ad Auschwitz e ha voluto condividere con noi la sua esperienza.

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Sono contenta di essere stata in Polonia, terra e cultura così diversa da quella in cui vivo… Entrando nel campo di Auschwitz ho cercato, e non mi è stato difficile, sentirmi vicina alle tante persone che hanno percorso queste strade, calpestato questa terra, abitato questi edifici, hanno sofferto e vissuto lì gli ultimi momenti della loro vita. Rivivo le riflessioni di quel momento. Continuo a camminare a passo lento, meditativo, profondo, tra questi edifici “speciali”, una domanda mi martella dentro: “Come hai vissuto padre Massimiliano… come avete vissuto voi fratelli sbarcati in questo villaggio “tremendamente speciale”?

Case con mattoni rossi, con tante finestre, parlerebbero di luce, di apertura… Tanto verde, parlerebbe di speranza… ma tutto è recintato con il filo spinato, dappertutto ferro appuntito: da qui è impossibile ogni piano di fuga ma anche di un rapporto più fraterno o semplicemente umano. La piazza, per antonomasia luogo di incontro, di scambio, ad Auschwitz si è trasformata in luogo dell’appello. Vedo una targa, è il posto dove padre Massimiliano ha fatto un passo in avanti, “prendo io il suo posto”, e con queste poche e semplici parole ha donato la sua vita. Come in un film rivivo questo momento e l’amore grande che ha vinto quell’odio mi riempie di vita. Il muro della morte.

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Di fronte a questa parete grigia, abbellita dalle celebrazioni quotidiane della memoria e dal ricordo fraterno espresso con fiori, ceri, preghiere… e tante piccole pietruzze (segni della preghiera degli ebrei), ho pensato a dove può portare l’odio, a volte è anche dentro di noi e ci porta a fare il male anche a chi non ha nessuna colpa. In questa cella buia, illuminata solo da una piccola finestra, il padre Kolbe ha avuto la costante e confortante luce della presenza di Maria, amata molto durante tutta la sua vita. Ecco la Forza che vince ogni male…

Non sono sola, uomini, donne, e tanti giovani camminano con me in queste stradine di ghiaia con tante domande nel cuore, per conoscere questo pezzetto di storia, per ricercarne un senso e, forse, per cercare Dio…

Cristo o Hitler

Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Primo Levi

Emanuele Properzi ti insegna come si pubblicizza un libro

 

La proposta di lettura di questo mese è  “Cristo o Hitler”  Vita del beato Franz Jagerstatter” di Cesare G. Zucconi – Ed. S.Paolo

 

 

Recensione: Franz Jagerstatter nasce il 20 maggio 1907 a St. Radenung in Austria. L’ambiente dell’infanzia e giovinezza è rurale e cattolico, molto radicato nelle tradizioni. Diventato giovane, dimostra un carattere forte e vivace e alla fine degli anni 20 decide di prendersi un momento di stacco dalla sua terra in cerca di un po’ di indipendenza e va a lavorare in una miniera della Stiria dove entra in contatto con il mondo operaio. La sua fede è messa a dura prova, ma la lontananza dalle pratiche religiose gli fanno riscoprire il vero senso della pietà cristiana cheprima compiva quasi meccanicamente e ora avverte come una qualità necessaria per essere cristiani. Franz sente innanzitutto il bisogno di coltivarsi interiormente, di far crescere la sua amicizia con Dio. Più forte è il male che ci circonda, più forte deve essere la fiducia in Dio. Tornato al suo paese, il 9 aprile 1936 sposa Franziska Schwaninger anche lei contadina e con una profonda fede. Il legame con Franziska lo aiuterà a trovare una maggiore stabilità spirituale e insieme leggono quotidianamente la Bibbia. L’unione dei due sposi è benedetta dalla nascita di tre figlie alle quali Franz è legato da un profondo affetto e con sua moglie partecipa alla loro educazione cristiana. Con l’annessione dell’Austria alla Germania nel 1938, la situazione diventa difficile e pericolosa. Dopo aver partecipato “obbligatoriamente” all’addestramento militare, Franz cresce nella convinzione che non vuole “servire” la guerra di Hitler. Il 23 febbraio 1943 riceve la cartolina precetto di presentazione in caserma dove lui comunicherà il suo rifiuto all’arruolamento. La sua scelta non è condivisa da nessuno del suo villaggio, solo la moglie Franziska lo sosterrà e ne sono testimoni le lettere piene di affetto e fede che si scambiano durante la prigionia di Franz. Il 6 luglio è condannato a morte per renitenza alla leva e il 9 agosto 1943 viene ghigliottinato nel carcere di Brandeburgo. E’ stato proclamato beato il 26 ottobre 2007 presso la cattedrale di Linz.

Dal libro:Foto Cover di Cristo o Hitler? Vita del beato Franz Jäegerstäetter, Libro di Cesare G. Zucconi, edito da San Paolo Edizioni

“…Franz sa che la libertà del cristiano è innanzitutto nella sua interiorità, nella sua coscienza. Non si può mentire a se stessi e a Dio addossando ad altri le proprie responsabilità…La lettura dei giornali e di ‘veri libri cristiani’ è la bussola che può orientare un uomo anche attraverso le tempeste più difficili…Tra queste letture la Bibbia diventa sempre più importante per Franz…” (pg. 21; pg. 30)

“…I primi anni di matrimonio con Franziska trascorrono felici. Gli abitanti del villaggio lo vedono con stupore spingere il passeggino con la prima figlia Rosalia. Non era infatti usuale che un uomo si dedicasse a tali attività. Franz ha una spassionata tenerezza nei confronti della moglie delle figlie…”(pg. 55)

“..Fare la volontà di Dio: questa è la convinzione di Franz il quale sente la responsabilità di comunicare alle figlie la fede…Così scrive durante la detenzione: ‘Ma come può vincere le sue battaglie giovanili chi ha in se stesso il veleno della mancanza di fede?’ …E aggiunge, pensando in particolare ai tanti giovani che vanno dietro a Hitler, che chi non ha fede è facile preda del male ‘che trama con malizia e astuzia’…” (pg. 58 – 59)

“…La scelta di Franz non è condivisa da nessuno nel suo villaggio. Anche il parroco, i suoi amici preti, il vescovo cercano di convincerlo a desistere con l’intento di salvargli la vita. Franz è uno dei pochi in tutta la Ostmark a rifiutare di servire l’esercito di Hitler in nome della fede…Nella sua prima lettera dalla caserma di Enns è Franz che cerca di confortare la moglie…Franziska è sola, anch’essa circondata dalla incomprensione generale…” (pg. 172 – 173)

“…In uno dei suoi ultimi testi, considerato il suo testamento, afferma: ‘Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà. Talvolta Dio ci mostra apertamente la sua forza che egli dona agli uomini che lo amano e non preferiscono la terra al cielo…La potenza di Dio è invincibile…Se ci si dedicasse con la stessa assiduità con cui si è tentato di salvarmi dalla morteterrena a mettere in guardia ciascun uomo contro il peccato mortale e perciò contro la morte eterna ci sarebbe già davvero il paradiso in terra…” (pg 188)