Diego Baroncini un docente di Lettere simula la deportazione con i suoi studenti di 2°Media: “Partendo da una emozione hanno capito e così abbiamo cominciato la settimana della Memoria”
Il prof entra in aula: “Chi non è di Ravenna si metta da questa parte”. Gli studenti lo guardano con sospetto, chi non è nato nella città romagnola, e sono poco meno della metà, si sposta ciondolando senza capirne il motivo. “Bene, volevo dirvi che d’ora in poi non potrete più fare lezione in questa classe, non potrete più venire a scuola”. Facce allibite, “prof, ma è serio?”, “dai, è uno scherzo”. Il docente li ha incalzati: “Sono serissimo, ora toglietevi orologi, braccialetti, collanine e appoggiateli su quel banco. Voi che avete gli occhiali, via anche quelli”. “Ma non ci vediamo!”. “È così. Le cinture anche, ragazzi. E le scarpe, non vi servono più. Ragazze, tiratevi indietro i capelli, legateli, nascondeteli come se non li aveste più”. Una
ragazza tornando verso il gruppo dei “non nati a Ravenna” senza scarpe dice: “Non mi sento più io”. Chi ammette di essere in imbarazzo, chi sogghigna. Poi cala il silenzio. Gli studenti ravennati, a bassa voce, uno con l’altro commentano: “Ma dai, ma perché?”. Quelli che non sono nati a Ravenna vengono spostati verso le finestre, fa freddo dagli spifferi, gli altri possono stare al caldo accanto ai termosifoni. Il professore si ferma: “Chi di voi ha capito?”. Tutti hanno capito: “Ci ha fatto vivere cosa hanno provato gli ebrei quando sono stati separati dai loro compagni, quando sono stati deportati”. E voi come vi siete sentiti? “A disagio, gli altri mi vedevano come io non voglio essere vista”. E ancora: “Ma senza occhiali non vedevo nulla”. Tutti concordano: non è giusto, ovvio. Eppure è stato.
L’insegnante ha continuato, rivolgendosi al gruppo dei nati a Ravenna: “E voi, perché siete stati zitti?”. “Perché lei è il prof”. “Ma se l’autorità commette qualcosa di atroce voi non dovete
tacere. Succedeva cosi anche con le leggi razziali: alcuni avevano paura di esporsi pur riconoscendo che non erano giuste, altri hanno reagito con un atteggiamento superficiale“. Lezione conclusa. “Ho potuto farlo perché c’è un rapporto di fiducia con questi alunni, ho chiesto prima se se la sentivano di affrontare un esperimento. Due studentesse non hanno voluto e hanno solo assistito- Lo scopo era quello di introdurre il Giorno della Memoria, di arrivare a parlare della Shoah. Ma volevo che ci fosse un’emozione da cui partire per far seguire riflessioni profonde, non retoriche. Da questo senso di estraniamento, spogliandosi alcuni di ciò che li fa riconoscere in se stessi e gli altri guardando gli amici privarsi di quanto li rende riconoscibili, abbiamo così cominciato il nostro lavoro sulla memoria”.
tratto da: https://bologna.repubblica.it/cronaca