Le avventure del pulcino nero

Anche quando tuo padre moriva di fame e di stanchezza, ancora lo tenevo sotto la testa in un sacchetto cucito con gli asciugamani e pregavo i miei compagni prigionieri perché ti consegnassero questo libro” (Henryk Czulda) Prosegue il racconto delle fiabe: attraverso la creazione di esse, i prigionieri avevano trovato un motivo per resistere alle bruttezze del campo.

Il libro della “Fiaba delle avventure del pulcino nero” racconta come un pulcino e suo fratello viaggiarono per il mondo nonostante gli avvertimenti della madre chioccia. Anche il libretto creato da Henryk Czulda per il figlio fece un lungo e periglioso viaggio attraverso cinque campi di concentramento prima di arrivare nelle manine del piccolo Zbyszek. Henryk Czulda, polacco di Lodz, faceva l’architetto. Fu arrestato dalla Gestapo nel luglio del 1943, denunciato da un amico che militava nell’Esercito Nazionale. Aveva 44 anni, il figlio Zbyszek otto mesi. Portato ad Auschwitz venne messo a lavorare negli uffici delle SS della Zentralbauleitung del lager dove conobbe gli altri deportati politici polacchi che avevano iniziato a disegnare le fiabe. In un messaggio mandato alla moglie il 28 settembre 1944, Henryk dice di aver cercato di spedire il libretto fuori dal campo ma di non esserci riuscito. Di qui, la decisione di salvare il racconto e consegnarlo personalmente al piccolo. In una lettera scritta dopo il suo ritorno a casa e allegata al libro spiega al bambino: “Ascolta, figlio, com’è andata: un signore che stava con tuo padre nel campo di concentramento, si chiamava Stanislaw Bec, ha scritto una fiaba carina per suo figlio a proposito delle avventure del pulcino nero. Gli ho chiesto di darmi il testo, lui me l’ha dato molto volentieri e tuo padre ha cominciato il lavoro e ha fatto delle illustrazioni per te” Czulda fu fatto evacuare da Auschwitz il 29 ottobre del 1944: “Siamo andati verso un destino sconosciuto. Ci hanno preso quei pochi “averi” che avevamo, ma io ho salvato la fiaba e le fotografie che mi avevate spedito da casa. Sono stato in sei campi di concentramento. Ho caricato su di me per sei volte tutto quello potevo tenere addosso”. Henryk viene trascinato dai tedeschi in una delle famigerate “marce della morte” e dopo Auschwitz passa attraverso altri cinque lager: Breslau-Lissa (sottocampo di Gross-Rosen), Gross-Rosen, Buchenwald, Dautmergen, Allach (sottocampo di Dachau). “La fiaba per te è stata sempre con me: dovevo inventare degli inganni per salvarla, a volte dovevo usare la persuasione oppure dare un pezzo di pane della mia porzione”, scrive al figlio. Il 30 aprile del 1945 Henryk viene liberato dagli americani: “Malgrado fossi quasi morto ci fu finalmente l’evacuazione e solo grazie a questo la fiaba nata ‘all’ombra dei forni del campo di concentramento’ è arrivata nelle tue carissime piccole mani”. E proprio “Fiabe dalla terra dei forni” è il titolo del film che nel 2008 il figlio minore di Henryk, Andrzej Czulda, regista, ha deciso di girare per ricordare la storia delle favole di Auschwitz e il coraggio di suo padre, morto nel 1957 quando lui aveva solo sette anni: “Ho invidiato mio fratello, in una certa misura, perché aveva ricevuto un dono d’amore così grande, ma poi, siccome sono un regista, ho deciso di mostrare con questo film la mia gratitudine verso mio padre, che riuscendo a sopravvivere all’incubo dei campi di concentramento, ci ha regalato un’infanzia felice”.

tratto da: https://www.corriere.it/reportages/cultura/2017/fiabe-auschwitz/henryk.shtml

 

L’ultimo regalo

Una toccante storia: un ufficiale tedesco in uniforme delle SS, consegna un pacco ad una donna senza dire una parola. Al suo interno c’è un libro in tedesco con alcune pagine tagliate e un libro di fiabe nascosto dentro il foro. Sul retro del libro la firma di Bernard Swierczyna – Auschwitz – prigioniero n.1393.

La notte del 4 settembre del 1944 Felicjan dormiva quando un ufficiale tedesco delle SS bussò alla porta di casa sua a Myslowice, a poco più di una ventina di km da Auschwitz. La madre, Adelajda, aprì e si vide consegnare un libro di antichità in lingua tedesca. Il soldato disse “grazie”, “arrivederci” e andò via. Quando aprì il volume, Adelajda vide che all’interno alcune pagine erano state tagliate per creare uno spazio rettangolare. Dentro il foro era nascosto un libricino di fiabe con una dedica scritta da suo marito Bernard, prigioniero da quattro anni all’interno del lager di Auschwitz: “Un regalo per te figlio mio, nel giorno del compleanno di tua madre”.Bernard Swierczyna era un polacco membro della resistenza interna nel campo Auschwitz I. Arrivato tra i primissimi nel 1940 come deportato politico, per la sua conoscenza del tedesco era stato messo a lavorare presso il magazzino dei vestiti (Bekleidungskammer). Tre giorni prima dello scoppio della guerra, nel ’39, aveva sposato Adelajda. Il 18 luglio era stato registrato nel campo con il numero 1393 e suo figlio Felicjan era nato a settembre. Non si erano mai visti. Il libro contenente la “Fiaba della lepre, la volpe e il gallo” (tradotta dal ceco in polacco e disegnata di nascosto) fu il primo e ultimo regalo di Bernard per il figlio Felicjan. Il personaggio principale è la lepre costretta ad andarsene dalla sua capanna dalla pericolosa volpe di cui tutti hanno paura. Né i cani, né un orso, né il toro cacciano il nemico senza cuore. Solo il gallo ha il coraggio di proteggere la lepre quando ha ormai perso le speranze… Al figlioletto rimasero il libro con la fiaba e la dedica del papà, tre medaglie al valore e un ricordo sbiadito: nel 1944 mentre stava camminando con la zia e una vicina a Myslowice (dove abita tuttora) una macchina si fermò improvvisamente. Due militi delle SS e un uomo che indossava una divisa saltarono fuori. L’uomo lo prese tra le braccia, lo strinse e pianse. Era suo padre. Felicjan pensava fosse un ricordo frutto dei racconti e della sua immaginazione quando nel 2008 ricevette una lettera da parte della vicina di casa che era con loro: la donna lo aveva visto in tv e aveva deciso di chiamarlo per confermargli l’incontro.

tratto da: https://www.corriere.it/reportages/cultura/2017/fiabe-auschwitz/bernard.shtml

Un mondo di fiabe

La bellezza che sa sbocciare anche in mezzo all’orrore, inaspettatamente, è una forma di resistenza alla realtà, un fiore raro e quindi prezioso. E la bellezza, struggente delicata e inattesa, ha saputo fiorire anche ad Auschwitz…

Le favole di Auschwitz (2009) è un volume edito dal Museo Statale di Auschwitz-Birkenau a cura di Mariusz Banachowicz e Jadwiga Pinderska-Lech.
Sono il frutto dell’opera illegale di alcuni prigionieri polacchi che lavoravano negli uffici del cosiddetto Bauleitung, l’amministrazione edilizia del lager dove venivano vagliati i piani di ampliamento del campo.
Un estratto dal volume “Di tutto ciò che vive”:

 

A mio figlio

Non conto i pensieri che verso te migrano
Piccolo amico mio, figlio lontano
Si potrebbero forse contare le onde che cullano
Di continuo una nave in un battibaleno?
A te penso come a un fresco mattino
Di tanto tempo fa dove di pini v’era una foresta
Ricordo stradine e sentieri, tracce del nostro comune cammino
E le parole simili allo scatto di una bianca colomba che a volare s’appresta
E la tua anima, figliolo, rammento
Che mai dall’infamia è stata macchiata
E i giorni delle tue emozioni e del tuo sentimento
Son per me ricordi di un’aurea ballata
Ahimè, non comprenderai forse questi discorsi confusi
Tutto ti canta di questi suoni la melodia
Ed essi sono nel mio cuore racchiusi
Quanta tristezza e nei suoi soffi la malinconia

tratto da: https://www.agiroergosum.com