Testimonianza resa da Edoardo Gniadek tratta dal libro Il Santo di Auschwitz di Patricia Treece.
“Dopo qualche giorno padre Kolbe fu messo nella nostra cella.Indossava l’abito francescano ed era senza barba. La presenza di padre Kolbe, così diverso da noi per la sua calma, per le cose che diceva e per le conversazioni che scambiavamo con lui, mi calmò molto ed ebbe un effetto incredibile sui miei nervi, che erano in pessima condizione dal giorno in cui vivevo con l’angoscia di dover essere interrogato ancora. Devo dire che non solo ero stato picchiato, ma avevo anche assistito alle torture di altri ed avevo l’angoscia di esse mandato in un campo di concentramento. Dopo due o tre giorni che Kolbe era con noi, uno degli uomini della Gestapo guardò dentro la nostra cella:entrò, infuriato alla vista di Kolbe che indossava il suo abito, dal quale pendevano il rosario francescano e il crocifisso. Vidi ogni cosa, ma fu Singer che mi riferì poi le parole esatte, perché io non so il tedesco. Lo Scharführer, cioè il capo del plotone, afferrò il rosario e strappandolo iniziò ad assalire Padre Kolbe, che non rispose. Poi l’uomo puntò un dito in segno di disprezzo verso il crocifisso e disse con tono minaccioso: “Credi in quello?” “Sì, ci credo”, rispose serenamente padre Kolbe. Assalito da una febbre bruciante, l’uomo colpì duramente Kobe in viso. Afferrò il crocifisso e domandò ancora: “Ci credi davvero, eh?” “Sì, ci credo!” rispose ancora con calma padre Kolbe. Ad ogni affermazione l’uomo delle SS si arrabbiava sempre più e diventava sempre più violento. Io non so se fosse per la calma e la determinazione di padre Kolbe, ma ad ogni modo dopo ogni risposta lui lo colpiva in faccia, sempre più forte. Alla fine, vedendo che che padre Massimiliano non cambiava idea, smise di picchiarlo e uscì arrabbiatissimo dalla cella, sbattendo la porta….”.