Lo scambio

“Per sopravvivere alla brutalità, bisogna pensare positivo. Agire. Perché il male trionfi, basta che i giusti non facciano niente”.
L’incredibile storia di Denis Avey, soldato inglese in Egitto che fu fatto prigioniero dai nazisti e portato nel campo vicino ad Auschwitz. Con grande coraggio e sprezzo del pericolo fa uno scambio sostituendosi con un prigioniero ebreo e diventa la matricola 220543 per ben 2 volte.

“I due campi di prigionia erano contigui: il nostro, di soldati inglesi, e quello degli ebrei. Lavoravamo insieme alla costruzione di una fabbrica della IG Farben, che avrebbe prodotto una gomma sintetica indispensabile alla macchina da guerra nazista. Spartivamo gli stenti – undici ore al giorno a spaccarci la schiena – ma non le esecuzioni arbitrarie: quegli uomini ombra con l’uniforme a righe e il volto terreo morivano di continuo, ammazzati a calci e bastonate o stroncati dallo sfinimento. A noi i nazisti consentivano di sopravvivere. La sera, ci scortavano ai rispettivi campi: loro ad Auschwitz III, di cui sapevamo solo – sussurri tra disperati – che era l’inferno in terra. Noi all’E715, dove ci aspettavano baracche e rancio scarso, ma almeno la certezza di arrivare all’indomani”.
“Ero tormentato dal bisogno di sapere di più. Un uomo a righe mi aveva bisbigliato, “Tu che un giorno tornerai a casa, racconta”, e quella supplica mi era entrata nel cervello come un tarlo”.Fu così che Denis Avey escogitò un piano, corruppe prigionieri e Kapò, rischiò la pelle, per entrare ad Auschwitz di sua volontà. Due volte.Un’impresa da pazzi. Il piano richiede settimane, poi lo scambio di persona con Hans, ebreo olandese, «uno dei rari individui di cui mi fidavo, in quell’abisso dove si vendeva un uomo per un tozzo di pane». Accade una sera, finito il lavoro, quando ognuno avanza a fatica, incolonnato, verso il proprio campo: «Ci scambiammo veloci le uniformi: avevo imparato a imitare l’andatura trascinata degli ebrei allo stremo delle forze.
E a suon di sigarette avevo corrotto un Kapò, che finse di non vedere.
Così come due prigionieri che, arrivati ad Auschwitz III, mi accolsero sul loro tavolaccio di legno al posto di Hans. Ci fu il rancho: cavoli marci bolliti con bucce di patate. L’impiccagione di un prigioniero colpevole di essersi mosso lentamente. La musica classica, che l’orchestrina dei prigionieri era costretta a suonare durante le esecuzioni. E ovunque quell’odore dolciastro, raccapricciante: i forni, mi spiegarono i compagni di
Hans. Che intanto, al mio posto nel campo inglese, rischiava la morte solo per una cena un po’ più decente». Il giorno seguente, ognuno al proprio posto. Lo scambio si ripete dopo alcune settimane.
Intanto Denis incontra Ernst, ebreo tedesco che gli bisbiglia di avere una sorella
rifugiata a Birmingham, gli chiede di farle avere sue notizie… Denis riesce
miracolosamente a contattarla inviando una lettera in codice alla propria madre,
che fa da tramite: mesi e mesi dopo le due donne fanno arrivare duecento pacchetti di sigarette. Un tesoro. «Servirono a tenere Ernst in vita ad Auschwitz. E a procurargli un paio di scarpe quando, dopo la disfatta nazista, ci fu la grande marcia tra i ghiacci,per evacuare il campo, e le ombre con l’uniforme a righe si accasciavano una dopo l’altra sulla neve». Ernst Lobethal è morto qualche anno fa in Usa, dopo aver raccontato questa storia in un’intervista.

tratto da: https://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/3092/luomo-che-entro-ad-auschwitz-volontariamente-per-raccontare-lorrore/

 

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