Cinque rose di cinque colori

“Sono ritornata ad Auschwitz, un’esperienza e un’emozione sempre diversa. Quattro posti in particolare hanno catturato la mia attenzione: l’entrata, la piazza dell’appello, la scala del blocco 11, la cella numero 18”.

La testimonianza di Lucia al suo rientro dalla Polonia. Un percorso a tappe…

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L’entrata. 

Mentre con moltissime persone sono in fila cercando di entrare non mi è difficile pensare alle moltissime, troppe persone che hanno passato questa stessa porta pensando di trovare un po’ di ristoro dopo la prima selezione: destra, sinistra, destra, sinistra… Ricordo l’esempio di Etty Hillesum che sorretta dalla sua incrollabile fede nella vita, ne sa cogliere la bellezza oltre il “qui e ora”: «Partirò dal principio di aiutare Dio il più possibile, e se questo mi riuscirà, allora vuol dire che saprò esserci anche per gli altri». Vivere è un bene ovunque, anche dietro il filo spinato e dentro le baracche tutte spifferi, purché si viva con l’amore necessario nei confronti degli altri e della vita… (cit. Ateleia).

La piazza dell’appello

Qui, davanti alla targa con il numero di san Massimiliano Kolbe, 16670, ben evidente, sono sola, la scelta di fare il primo passo, la scelta di uscire dalle file è stato ed è sempre un atto personale. In mezzo ai compagni interdetti, padre Massimiliano si fa strada e rompe gli schemi: «Vorrei morire al posto di uno di questi condannati», e indica quello che si era lamentato, un padre, un marito. «Chi sei?» chiede il capo SS. «Un prete cattolico», risponde padre Massimiliano. L’ufficiale, stupefatto, rimane in silenzio per un istante, poi accetta. Anch’io rimango in silenzio…

La scala del blocco 11

Se vuoi “salire”, devi prima “scendere”… Diceva Edith Stein: «Non esiste consolazione umana, ma colui che impone la sua croce, sa come rendere dolce e leggero il fardello. Accetto tutto quello che Dio mi manda!». Quando Sr. Teresia Benedicta scrisse queste righe il 29 luglio 1942, i nazisti avevano già stabilito la sua sorte e quella di tutti gli ebrei. Iniziò così un periodo molto doloroso. Dal campo giunsero ancora tre brevi lettere indirizzate al Carmelo di Echt. Nella lettera del 5 agosto 1942 si legge: «Abbiamo fiducia nella vostra preghiera. Qui ci sono così tante persone bisognose del conforto, ed esse sperano di riceverlo dalle suore». Nelle sue ultime righe scritte il 6 agosto 1942 dal campo pregò di mandarle il breviario aggiungendo: «Fin’ora sono riuscita a pregare benissimo…». Mi chiedo se anch’io ho questa fiducia, questa desiderio di credere ancora nel bene…

La cella numero 18

Sono arrivata presto e non c’è nessuno, mi posso inginocchiare e pregare… Altri visitatori hanno lasciato nella cella 5 rose di 5 colori, li associo ai 5 continenti e chiedo pace, luce, forza, coraggio per ogni uomo e ogni donna di questo pazzo, ma sempre bello, nostro mondo.

Lucia Z.  – Bologna

 

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2 pensieri su “Cinque rose di cinque colori

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